Cure palliative: l’importanza del team work

Nell’ambito della rete di Cure Palliative la modalità operativa per rispondere in modo unitario al bisogno del malato e della sua famiglia è il lavoro di equipe. In diversi documenti, riconosciute Organizzazioni del settore, quali l’inglese National Council for Hospice and Specialist Palliative Care Services, hanno sottolineato l’importanza della cooperazione tra professionisti, la condivisione delle decisioni ed il sostegno tra e ai membri dell’equipe.

Il gruppo di lavoro che opera in Cure Palliative è multidisciplinare per la compresenza di diverse professionalità e interdisciplinare per la modalità di lavoro. Esso si differenzia dal modello prevalente nella maggior parte degli ambiti sanitari (gruppo multidisciplinare) per la prevalenza dell’identità di gruppo rispetto a quella degli individui, per la comunanza di obiettivi oggetto del lavoro comune, per una leadership condivisa e per l’importanza data al processo d’interazione.

Il malato e la sua rete familiare e amicale, sono anch’essi parte dell’equipe in quanto capaci di orientarne il piano di cura e partecipi della evoluzione della situazione e delle decisioni che ne derivano. In questo senso, il malato è colui che meglio può definire la priorità delle sue problematiche: quando viene ascoltato e i suoi bisogni messi al centro, è il migliore maestro del gruppo di lavoro.

Mentre in altri ambiti sanitari i ruoli sono chiari e gerarchici e non ammettono deroghe – soprattutto in reparti di emergenza o alta specializzazione, in ambito di cure palliative questi stessi ruoli perdono i loro confini e tendono a integrarsi in una dialettica focalizzata sul bene maggiore del malato. In questo senso, nell’ambito delle Cure Palliative il compito è più variabile e aperto a interpretazioni. Che cosa significa migliorare la qualità della vita per quel singolo paziente? Che cosa è necessario per raggiungere quell’obiettivo? Chi è più adatto a quel compito? Da chi il paziente preferirebbe essere aiutato? Qual è il ruolo di ogni singolo membro del gruppo per raggiungere quell’obiettivo? Queste sono alcune delle domande che ci si pone in equipe e che riorientano l’operatività!

Tutto questo non è indolore ed è esposto al rischio della conflittualità e – alla lunga – del burnout. Per ovviare a questo, da un lato è necessario che l’individuo sia professionalmente capace, dotato di conoscenze scientifiche e in grado di educare gli altri; dall’altro, si deve mantenere flessibile e pronto a permettere agli altri un’invasione nel proprio campo senza sentirsi minacciato. In definitiva, i conflitti di ruolo possono essere negoziati e superati se il paziente è tenuto al centro e se si punta sul suo benessere.

Per raggiungere l’obiettivo della pratica collaborativa è necessario un reale processo di cambiamento culturale e di percezioni. A questo riguardo, alcuni ricercatori hanno osservato che la collaborazione reale non è il risultato dell’organizzazione ma deve invece provenire dalla mente di colui che è chiamato a collaborare. Ulteriori studi, hanno recentemente dimostrato il forte potenziale motivazionale di due fattori: la percezione di autoefficacia (fortemente sostenuta dal riconoscimento del gruppo di lavoro)  e l’impegno a lavorare in gruppo. Le convinzioni di efficacia sono di fondamentale importanza per far fronte allo stress, contrastando in questo modo il burn out definito da alcuni come “crisi di efficacia professionale”. L’impegno a lavorare in gruppo è l’attaccamento psicologico che i membri sentono verso la loro equipe con una particolare attenzione verso i membri più che verso la organizzazione in quanto sovrastruttura.

Percezione di autoefficacia e spirito di gruppo si nutrono di alcuni atteggiamenti e disposizioni che ne facilitano la realizzazione. Vari autori li hanno individuati nella interdipendenza, nella fiducia e rispetto reciproco, nella comunicazione aperta e nella condivisione della responsabilità e del potere. Essi non agiscono in maniera separata ma sono spesso conseguenza l’uno dell’altro. Infatti non vi può essere fiducia se non nel contesto di rispetto che a sua volta è collegato ad una comprensione ed a una conoscenza della competenza professionale dell’altro. In altre parole, la collaborazione non è che “il riconoscimento ed il rispetto della competenza specifica di ciascun professionista” sulla base di un lavoro “d’insieme e non gerarchico in merito alle decisioni che riguardano i pazienti” in un clima di “fiducia e di reciproca comunicazione”.

L’attività in Hospice beneficia in varie forme e attraverso diversi strumenti della pratica collaborativa. Tra questi, due momenti privilegiati sono il passaggio di consegne e le riunioni d’equipe. Le prime avvengono a cadenza regolare al cambio di ogni turno mentre le secondo hanno cadenza settimanale. Diverse per tematiche e contenuti, entrambe contribuiscono a focalizzare l’attenzione del gruppo sul comune obiettivo, la centralità del malato, ed a rafforzare il senso di stima, di fiducia e di rispetto che cementano i vari operatori e li rendono capaci di interdisciplinarietà.