La moda del selfie. Siamo diventati più narcisisti?

Tratto da Missione salute Marzo-Aprile anno XXX N.2

di p. Luciano Sandrin

 

Cammino per le strade della mia città e incontro ragazzi che, invece delle solite borse o dei provvidenziali ombrelli, offrono un bastoncino allungabile. Il suo nome tecnico è selfie stick, un piccolo bastone per piazzarci in cima un cellulare e farsi dei selfie. Lo usano in molti, anche ad alti livelli, per immortalare alcuni attimi fuggenti della loro vita. Un professore ha chiesto ai suoi studenti perché usassero quello strano aggeggio. La loro risposta era: «Ma prof, con lo stick il selfie lo facciamo come vogliamo noi». Il prof si chiama Giuseppe Riva e su questa nuova moda ha scritto un piccolo libro, che ho letto in un viaggio in treno da Roma a Padova, dal titolo “Selfie. Narcisismo e identità”. Per lui il successo del selfie non significa che stiamo diventando più narcisisti, ma segnala un cambiamento importante nel modo di essere, di percepirsi, di stare al mondo e di vivere con gli altri.

Il termine selfie è apparso nei primi anni di questo secolo per indicare un tipo di foto in cui il fotografo riprende se stesso, fa i propri autoritratti (self-portrait in inglese) in modo molto facile: basta guardarsi nello schermo del cellulare, come in uno specchio, e premere un pulsante. E lo puoi inviare subito in rete, nei social network. Il selfie può diventare immediatamente visibile a tutti gli «amici» di Facebook o a un gruppo di WhatsApp. Già nel 2014 venivano condivisi online oltre 90 milioni di selfie al giorno. E qualcuno ha subito intuito che lì c’era una miniera d’oro e ha aperto un laboratorio di ricerca: guardando attentamente il selfie posso capire dove è stato fatto, chi è presente nell’immagine, che cosa indossa e di che marca, quali oggetti sono presenti e altri particolari ancora. «In pratica – riassume in nostro autore – i selfie rappresentano il cavallo di troia che Facebook sta usando per riuscire a capirci meglio». E per offrirci oggetti vari da acquistare.

tourist-selfie-sticks-today-tease-1-150916_23e68413303e8f799f5bc2f02cfaa0fbQuesto desiderio di farsi vedere, di attirare attenzione e di farsi ammirare è sintomo di un crescente narcisismo? Nasconde cioè un desiderio poco sano di voler piacere a tutti? Si può parlare di selfite come di una nuova forma di dipendenza? E questo in particolare negli adolescenti?

La storia di Narciso racconta di un bel giovanotto che, innamoratosi della sua immagine riflessa nell’acqua, muore cercando di raggiungerla. Secondo il nostro prof ci sono delle differenze tra la storia di Narciso e il comportamento di un adolescente che scatta il proprio selfie: il primo è che Narciso non cerca la propria immagine riflessa ma la subisce e ne viene ingannato, mentre il selfie è sempre un atto intenzionale e consapevole; il secondo è che Narciso vuole tenersi l’immagine di cui si è innamorato solo per sé mentre nel selfie c’è la volontà di condividerne il contenuto, visto che il numero di visualizzazioni o di followers (e cioè di seguaci) è considerato un indice del proprio valore e un carburante per la propria autostima. È interessante a questo proposito il titolo di un libro in francese Je selfie donc je suis, traducibile con Io selfie, dunque sono, con buona pace del filosofo Cartesio che affermava invece Io penso, dunque sono.

Ma allora che cosa si può dire della psicologia del selfie, visto che i ragazzi ne scattano in media tra i 3 e gli 8 al giorno, con punte massime di 100, e un adolescente su dieci fa anche selfie pericolosi? Ognuno di noi affronta un lungo cammino di costruzione della propria identità, attraverso la comprensione di chi siamo e di chi vogliamo diventare, le nostre caratteristiche individuali (identità personale) e la posizione che occupiamo all’interno della società (identità sociale). Il selfie permette di proporre aspetti ben selezionati di quello che sentiamo di essere per convincere l’altro della verità di ciò che gli proponiamo, e ci rende più visibili alle persone intorno a noi. E attraverso i selfie degli altri possiamo scoprire nuovi mondi possibili e decidere chi vogliamo essere e che cosa vogliamo fare.

Non dovremmo, però, mai dimenticare che noi siamo nei selfie ma essi non dicono tutta la ricchezza della persona che siamo, e che c’è sempre qualcuno che può usare quello che raccontiamo, anche con le nostre immagini, per scopi diversi e non sempre rispettosi.

Come mille altre cose, dal cioccolato alle patatine fritte, anche i selfie hanno due facce: una positiva e un’altra negativa. La vita è piena di attrazioni e di insidie, ma se ce l’abbiamo fatta noi ce la faranno anche i nostri figli, nonostante gli smartphone e i selfie. Il consiglio del nostro autore è chiaro: «Basta aiutarli a diventare consapevoli dei rischi e delle opportunità. Poi saranno loro a scegliere, come del resto abbiamo fatto anche noi prima di loro».