La teologia pastorale sanitaria come terreno di incontro

Luciano Sandrin – Camillianum

La pastorale della salute – che è per la Chiesa parte integrante e irrinunciabile della sua missione – può essere descritta come l’azione multiforme della comunità cristiana a favore delle persone segnate dal dolore, dalla malattia, dalla disabilità e dalla fragilità. La parola che forse meglio la sintetizza è guarigione, e il verbo che meglio ne esprime l’azione è guarire (healing) inteso nel suo significato più ampio di curare e prendersi cura. Accanto a chi soffre, al malato e a chi muore la chiesa si riscopre comunità sanante (luogo di guarigione – healing community), segno e strumento di una guarigione che “salva” l’uomo nella sua interezza, narrata e anticipata nelle esperienze di salute e di guarigione anche parziali.

Tra i contributi innovativi della pastorale della salute alla pastorale ordinaria della chiesa si può includere l’apertura all’orizzonte ecumenico. La pastorale della salute è essenzialmente ecumenica e può diventare un terreno di incontro in cui si provano nuove collaborazioni perché nessuna forma di cooperazione è più capace di aggregazione di quella che si pone al servizio delle persone in ciò che è per loro più caro e vitale, la promozione e la difesa della vita e della salute, specialmente nei momenti di particolare sofferenza e vulnerabilità. Le chiese sono chiamate a essere comunità di guarigione (healing community), luogo di cura e promozione della salute intesa nella sua interezza e multidimensionalità. La domanda di salute e la comunità che a questa domanda risponde come comunità sanante (attraverso la varietà del suo agire salvifico-salutare) possono diventare non solo uno dei luoghi ecumenici importanti in cui le chiese si incontrano, luoghi di guarigione delle persone e di reciproca riconciliazione, ma anche uno dei luoghi significativi in cui le grandi religioni e le diverse sensibilità spirituali possono dialogare.

Giovanni Paolo II, nella Pastores dabo vobis, sottolinea l’esigenza dello «studio di una vera e propria disciplina teologica: la teologia pastorale o pratica, che è una riflessione scientifica sulla chiesa nel suo edificarsi quotidiano, con la forza dello Spirito, dentro la storia» (n. 57). In ogni nuova situazione storica vi è un’indicazione di Dio, una provocazione e un suo invito a nuovi compiti, a nuove forme di presenza e di azione. Sempre più oggi si preferisce la dizione teologia pratica a quella di teologia pastorale per sottolineare la missione evangelizzatrice di tutta la chiesa nell’oggi e la forma che il suo agire è chiamato a prendere nei vari contesti socio-culturali. La teologia pastorale e la teologia pratica hanno una diversa storia, in ambito cattolico la prima e protestante la seconda, ma oggi sono ambedue interessate a vedere come la riflessione teologica può influire ed essere influenzata dall’attività pratica per produrre un’appropriata risposta cristiana alle domande del mondo di oggi. La teologia ha ormai preso coscienza che «la prassi costituisce una dimensione intrinseca della stessa fede, con la conseguenza che tale dimensione deve entrare in quella riflessione della fede su se stessa che si chiama teologia» (Juan Alfaro). La teologia pastorale ne fa il suo oggetto specifico in una prospettiva in cui «la prassi non è più vista come attuazione successiva di dati prestabiliti dalla teoria, ma come luogo originario di elaborazione della teoria stessa» (Sergio Lanza). La pastorale, come multiforme agire della chiesa nella storia, è luogo di conoscenza teologica (esperienza di fede vissuta e agita, cammino di scoperta e di approfondimento conoscitivo, e momento di verifica). Le esperienze che, a titolo diverso, rientrano nel campo della pratica pastorale, – in cui la salvezza viene annunciata, accolta, celebrata, realizzata e donata – risultano accessibili soltanto tramite un’autentica conoscenza teologica ma a loro volta precedono e fondano ogni riflessione teologica. Le esperienze legate alla salute e alle varie forme del guarire (curare, prendersi cura, consolare, confortare, ecc.) sono “luoghi” non solo di espressioni pastorali e teologiche storicamente assodate ma anche “luoghi generativi” di riflessioni teologiche e di espressioni pastorali rinnovate. Anche le varie espressioni attraverso le quali può essere declinato il guarire possono esser viste come teologia pratica (healing as practical theology) (Susan J. Dunlap).

«Solo il servizio al prossimo – scrive Benedetto XVI – apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama». L’amore per il prossimo è una strada per incontrare Dio, per conoscerlo e poter trovare un linguaggio per parlarne, esserne accreditati “teo-logi”: «chiudere gli occhi di fronte al prossimo rende ciechi anche di fronte a Dio» (Deus caritas est, nn.18 e 16). L’esperienza dell’amore è una vera forma di conoscenza. E papa Francesco afferma: «La misericordia alla luce di Pasqua si lascia percepire come una vera forma di conoscenza… perché la misericordia apre la porta della mente per comprendere meglio il mistero di Dio e della nostra esistenza personale». La misericordia, anche nelle sue espressioni di compassione e di perdono, è “una forma di teologia pratica”: un’esperienza che ci avvicina alla conoscenza di Dio (teologia) “relativizzando”, e cioè ponendo in relazione a Lui, le nostre teologie che, in Lui e nel suo Cristo, si possono e si devono incontrare.

«Come posso trovare un Dio benigno?». È questa la domanda che a lungo tormentò il giovane Martin Lutero finché un giorno egli riconobbe che, nel suo significato biblico, la giustizia di Dio non è la giustizia punitiva, ma la sua giustizia giustificante e, quindi, la sua misericordia. Scrive, sinteticamente, Walter Kasper: «Il contributo più importante di Martin Lutero per portare avanti l’ecumenismo non sta negli approcci ecclesiologici in lui rimasti ancora aperti, ma nel suo orientamento originario al vangelo della grazia e della misericordia di Dio e nell’appello alla conversione. Il messaggio della misericordia di Dio era la risposta al suo personale problema e bisogno, come pure agli interrogativi del suo tempo; esso è anche oggi la risposta ai segni dei tempi e alle pressanti domande di molte persone. Solo la misericordia di Dio può sanare le profonde ferite che la divisione ha inferto al corpo di Cristo che è la chiesa». E su questo tema profonde sono le “sintonie” tra le varie comunità cristiane. Proprio la misericordia è stato il grande tema che papa Francesco ha proposto per l’ultimo giubileo.

Siamo chiamati a una conversione pastorale, ricordando però che «pastorale» – come ci ricorda papa Francesco – altro non è che il riscoprire e l’esercitare la maternità della Chiesa: «Essa genera, allatta, fa crescere, corregge, alimenta, conduce per mano… Serve, allora, una Chiesa capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia c’è poco da fare oggi per inserirsi in un modo di “feriti”, che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore».

Accanto a chi soffre, a chi è malato e a chi muore le Chiese possono riscoprire quella dimensione materna, relazionale, accogliente e generativa che le vivifica e le avvicina.