Perché tutti (o quasi tutti) preghiamo quando abbiamo paura?

010_preghiera_alla_lunaL’uomo, quando è in condizioni di malattia, di precarietà, quando è sorpreso da una minaccia improvvisa, dalla paura, in genere ricorre spontaneamente a qualche forma di preghiera: la Bibbia stessa conosce bene questo genere di preghiera. Anzi, stupisce l’ampio spazio che la sacra Scrittura attribuisce a questa modalità di rapporto con Dio, che è preghiera di supplica, di lamento, d’intercessione: tutte le grandi figure bibliche sono state anche, – e anzi in primo luogo – figure di grandi intercessori, per gli altri e… per se stessi: si ricordi, ad esempio, la domanda e il lamento di Abramo quando non vede l’avveramento della promessa di Dio di dargli una discendenza: «Mio Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Eliezer di Damasco. Non mi hai dato discendenza e un servo sarà il mio erede» (Gen 15, 2-3). O quando, con confidenza e timore mirabilmente intrecciati, intercede per Sodoma e Gomorra (Gen 18, 23-32).

E non è meno presente la preghiera d’intercessione in Mosè, la cui immagine prevalente, nella tradizione biblica, rimarrà quella del mediatore tra Dio e la comunità, del modello dell’intercessore (es. Es 17, 8-13; 32, 11-14. 30-34; Nm 1.4, 10-20; ecc.).

Tra i grandi profeti, è Geremia che negli scritti lascia intravedere, più d’ogni altro, i sentimenti che animarono il suo rapporto con Dio: le sue confessioni e preghiere rivelano delusioni, sofferenze, crisi d’un autentico uomo di fede. Egli discute con Dio, lo interpella con un vigore e una fiducia impressionanti: lamenta l’emarginazione da parte degli uomini e il silenzio da parte di Dio, che pure al momento della vocazione gli aveva garantito: «Non temere, io sarò con te!» (1,8. 18-19).

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Il sogno 1939 – Marc Chagall

Ma è il libro di Giobbe che in questo contesto andrebbe letto per intero dove, dalla serena e, potremmo dire, ingenua fiducia degli inizi – «Nudo uscii dal seno di mia madre e nudo vi ritornerò. II Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!» (1.21) – si giunge, nella conclusione, alla matura e ammirata accettazione del vero volto di Dio: «Ecco, sono ben meschino: che ti pos­so rispondere? Mi metto la mano sul­la bocca» (40,4); «Ho parlato senza discernimento cose troppo superiori a me, che io noli comprendo… Ti cono­scevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono» (42, 3.5). Che cosa è avvenuto nel frammezzo? La parte in­termedia ha rappresentato il dramma di Giobbe, che dal profondo della sua condizione umiliata e dolorosa, non ha cessato di battere alla porta di Dio invocando, supplicando, inveendo pu­re al fine d’ottenere una risposta dall’Onnipotente. E Dio ha preso sul serio quel lamento, si è fatto no, introducendolo alla scoperta della sua vera identità: la preghiera è stato il luogo del passaggio da quel che Giobbe «pensava» che Dio fosse, a quello che Dio è per davvero.

Il libro dei Salmi – che contiene per antonomasia la preghiera d’Israele – rispecchia i drammi e le gioie di tutto il popolo, dei singoli e della collettività, sono preghiere che nascono dalla vita, dalle sue fondamentali espressioni: lode, gioia e ringraziamento; dolore, lamento e supplica; riflessione sulle circ­ostanze e sui problemi dell’esistenza. i salmi di supplica e di lamentazione coprono dunque almeno un terzo di tutto il Salterio. E se quelli «di lode» sono, in un certo senso, i «più nobili e perfetti» perché esprimono il puro de­siderio gratuito dell’adorazione, della gioia e del ringraziamento per il sem­plice fatto che Dio esiste, quelli dello sconforto e dell’invocazione sono più consoni all’attuale nostra condizione di creature non ancora pienamente redente, tuttora in cammino verso il com­pimento, quotidianamente alle prese con le paure, le sconfitte, le malattie, calamità, la malizia e la cattiveria uomini e… la propria incoerenza infedeltà.

I Vangeli dal canto loro pullulano di episodi di singole persone e di gruppi che invocano da Gesù interventi di liberazione da malattie e da sventure. È anzi da dire che, la fede nasce da situazioni di sogno, di necessità, e quindi da domande e invocazioni.

Quelli che si rivolgono a Gesù perché afflitti da paure e minacce, nep­pure sanno di aver fede: è Gesù che fa emergere la loro fede nascosta all’in­terno di quelle invocazioni angoscio­se: «Perché il papà del fanciullo epi­lettico esprima la sua fede, è necessa­rio che sia Gesù a nominarla per pri­mo: «Tuffa è possibile per chi crede». Allora quegli reagisce: «Io credo, ma aiutami nella mia poca fede!» (Mc 9, 24) (J. Guillet).

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Gesù prega nel Getsemani, di Mario Toffetti .

Anche la fede dei dodici nasce e progredisce all’interno di situazioni di crisi e di conforto: «Maestro, non t’importa che moriamo?» – gli grida­no quando brio sul mare in tempesta. E Gesù: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?» (Mc 4, 38.39). A Pietro che, impaurito per la violenza del vento mentre cammina sulle acque insieme con Gesù, implo­ra: – «Signore, salvami!» – è rivolto il rimprovero di «uomo di poca fede» (Mt 14, 30-01).

Del resto se i vangeli ci presenta­no Gesù  «maestro di preghiera» quando i disepoli, contemplandolo in orazione, gli chiedono di insegnar loro a pregare (Lc 11,1), è tuttavia nell’ora della tribolazione e della pro­va – al Getsemani – che ce lo rivelano totalmente immerso in quel dialogo di dolore e di speranza con l’ «Abbà-Pa­dre»: momento altamente rivelativo della sua divinità attraverso la più drammatica espressione della sua umanità, ma altresì momento culmi­nante della sua missione salvifica. La lettera agli Ebrei, ritornando sull’epi­sodio, vedrà in quella preghiera ango­sciata e fiduciosa il momento deter­minante del suo itinerario, perché fu allora che, «reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti co­loro che gli obbediscono» (Eb 5, 9). Ora Gesù rimane per sempre in atteg­giamento di intercessore: «essendo egli sempre vivo per intercedere a lo­ro favore» (Eb, 25). Anche lo Spirito «intercede» per noi, anzi «dentro» di noi: Rm (8,26-27).

Pare dunque di dover dire che la si­tuazione che vive l’ uomo quando è colto dalla sofferenza e dall’angoscia, dove la preghiera è innanzitutto sup­plica e intercessione, richiesta di aiu­to e di guarigione, costituisce un’op­portunità perché egli impari a prega­re davvero, entri, ossia, nel mondo di Dio. Per questo si può dire che il mon­do della sofferenza e del dolore, può divenire un ambito che serva ad intro­durre – o a far progredire – nel mondo della preghiera.