Formula di vita dei Ministri degli Infermi

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Le firme in calce alla formula di vita: Camillo de Lellis, Biagio Oppertis, Sanzio Cicatelli e Cesare Bonino

Carta istituzionale dell’Ordine, approvata all’unanimità dal 2° Capitolo Generale (1599).
Atto della sessione generale del 19 giugno.

Contiene gli elementi-base del carisma dell’Istituto, formulati da Camillo nel memoriale presentato a Papa Gregorio XIV. Si ritrovano nella bolla «Illisu qui pro regis» (21-IX-1591), con cui viene riconosciuto l’Ordine («Religione») dei «Ministri degli Infermi» ed è concessa la professione solenne e pubblica dei voti perpetui. Camillo, appena avuto la bolla, la portò in processione con la comunità in chiesa, la baciò, ringraziando Dio.

 

  1. Se, ispirato dal Signore, uno vorrà esercitare quest’opera di carità, sappia che deve osservare in perpetuo povertà, castità, obbedienza e servizio agli infermi, per ora senza farne voto. Questa disposizione però, non intende privare nessuno della sua libera volontà: che cioè, non possa fare voti privati, se vorrà, poiché in questo vogliamo lasciare operare liberamente la grazia dello Spirito Santo.
  2. Chiunque vorrà far parte della nostra Compagnia, prima di esservi ammesso oppure entro un mese, faccia la confessione generale di tutta la vita col confessore che sarà stato deciso dal Superiore, per potersi cos’ rinnovare e rendersi più atto al servizio agli infermi.
  3. Nessuno possederà cose proprie, ma ogni cosa sia comune. In comune non possiamo avere altri di stabile se non la casa dove abiteremo. Nessuno oserà aver denaro eccetto il superiore o il procuratore; essi conserveranno tutti i denari in una cassa comune che avrà due chiavi. Ne terranno una per uno. Vivremo di elemosina, perché speriamo che la santa povertà aiuti molto a far crescere e a conservare questa Compagnia nello spirito della pietà.
  4. Nessuno terrà alcuna cosa senza il permesso del superiore e, quando piacerà allo stesso superiore, sarà sempre disposto a privarsi di quello che avrà avuto il permesso di tenere. Se perciò avrà bisogno di qualsiasi cosa la chiederà al superiore, e se, questi non gliela concederà, porterà pazienza persuaso che ciò è utile per la sua anima.
  5. Ognuno obbedirà al superiore con grande umiltà e rispetto. Se uno non vorrà obbedire, lo stesso superiore, per la prima volta, gli faccia la dovuto correzione: la seconda, gli dia una penitenza, ma sempre con ogni carità possibile; se poi per una terza volta non vorrà obbedire, sia mandato fuori dalla Compagnia. Si agirà nello stesso modo nel mandar via che desse scandalo in casa o fuori.
  6. Ognuno si confesserà e comunicherà almeno una volta per settimana, cioè la domenica, e tutti a uno stesso confessore, se sarà possibile. Se invece ciò non si potesse, ognuno abbia un proprio confessore e non si confessi da un altro senza permesso del superiore.
  7. Ogni giorno tutti insieme nell’Oratorio faranno un’ora di meditazione, se sarà possibile al mattino. Se ciò non si potesse fare, ciascuno attenderà a questa meditazione durante la giornata, quando avrà tempo. Poi, la sera, tutti faranno l’esame di coscienza. Ogni giorno quelli che fossero in casa diranno le litanie tutti insieme. Chi in quell’ora non si trovasse in casa, le dirà poi da solo. Chi non sa leggere dirà cinque Padre nostro e cinque Ave Maria.
  8. Quanti non saranno occupati nell’assistenza agli infermi o nel servizio della casa, cerchino di andare almeno ogni quindici giorni alla predica, e in Quaresima almeno due volte alla settimana, là dove piacerà al superiore. Ogni mese si faccia in modo che qualche padre spirituale tenga a tutti insieme, se si potrà, un esortazione che li inviti a osservare le nostre regole.
  9. Ognuno ascolti la Messa ogni mattina, se sarà possibile. Anche nei giorni feriali non si tralasci se non fosse per qualche impegno molto importante che, al momento, si stimi più gradito al Signore di quanto non sarebbe sentire la Messa.
  10. Ogni otto giorni cerchino di accostarsi alla Comunione tutti insieme e anche di pranzare insieme, quando sarà possibile. Si tenga inoltre una conferenza sulle necessità degli infermi, e si trattino anche argomenti che giovino al loro bene spiritale e conversione, cercando però di non intralciare il servizio nell’ospedale, perché non venga a mancare la presenza di qualcuno dei nostri.
  11. Ognuno attenderà alla mortificazione interna ed esterna, facendo volentieri quelle cose per cui sentisse maggior ripugnanza, quando gli fosse comandato: questo gli servirà per essere più facilmente caritatevole verso gli infermi più gravi e con infermità più difficili da curarsi.
  12. Se ai nostri fosse richiesto di assistere qualche infermo nelle case private, andarci non sarà contro il nostro istituto purché ci vadano due insieme. Occorre che l’infermo si confesso. Si serva per amore di Dio, ma per questa assistenza a domicilio non si trascurino i poveri negli ospedali.
  13. Tutti coloro che vorranno conformarsi alla nostra forma di vita devono promettere, se venisse la peste (che Dio non lo voglia!), di servire gli appestati. Ciò, però, se ne avranno avuto il comando dal superiore; ma tutta la Compagnia, sia i sacerdoti sia i laici, sarà tenuta ad assistere gli appestati.
  14. Nessuno esca di casa senza il permesso del superiore. Chi uscirà vada col compagno dove vorrà il superiore.
  15. Sia in casa come fuori ognuno, quando sarà possibile, osservi il silenzio, soprattutto nel tempo della Messa, preghiera, esame di coscienza, e quando sarà dato il segno di andare a dormire. Questa è cosa che tutti devono fare allo stesso tempo, perché tutti possano alzarsi a una stessa ora.
  16. Ognuno nutra verso l’altro l’onore e il rispetto che convengono tra servi di Dio. Ciascuno ritenga il proprio compagno come se fosse il suo superiore.
  17. Quando si mangia, tanto al mattino quanto alla sera, si faccia qualche lettura spirituale, valendosi spesso di libri che esortino alla pazienza e trattino della buona morte, perché i fratelli, essendo così più competenti, siano più adatti nell’aiutare e confortare gl’infermi nelle loro necessità. A tavola, poi si osservi il silenzio.
  18. In casa il mercoledì e il venerdì non si mangi né carne né formaggio né uova. Negli ospedali, invece, o in altri luoghi ognuno mangerà ciò che gli sarà servito.
  19. Nessuno, senza permesso, intervenga nei compiti affidati agli altri. Ognuno seguirà le buone usanze e il modo di vivere che avrà trovato nella Compagnia.
  20. Nessuno, se non il superiore, deve riprendere con autorità gli altri confratelli. Se però uno verrà a conoscenza di qualche mancanza rilevante o tentazione grave di un confratello, ne avverta il superiore affinché questi con carità possa provvedere. Tutti abbiamo caro che le proprie mancanze siano riferite al superiore da chiunque le conoscesse fuori confessione.
  21. Saranno attenti a non adirarsi reciprocamente e a non mostrare un volto turbato: al contrario manifesteranno l’amabilità e la carità che convengono fra i servi di Dio.
  22. Nel mangiare e nel dormire si seguirà questo ordine: si dormirà per sette ore: dall’alzata del mattino fino al pranzo passeranno sei ore, sette quando si digiuna; dal pranzo fino alla cena trascorreranno otto ore. Quando sarà l’ora di mangiare, si incominci senza aspettare nessuno, neanche il superiore.
  23. Anche se gli paresse di non meritarle, ognuno accetti e faccia molto volentieri le penitenze che gli fossero imposte dal superiore, mosso dal desiderio di ricevere un aiuto spirituale.
  24. Sebbene tra noi non ci siano penitenze obbligatorie, tuttavia chi, avendo commesso qualche mancanza, desidera camminare per la via della perfezione, non si tratterà dal richiedere spesso al superiore la penitenza dei proprio difetti e la farà volentieri alla presenza di altri confratelli per dar loro edificazione e buono esempio.
  25. Quando uno uscirà dalla casa cammini con modestia, mostrando così di aver zelo per l’onore di Dio. Se troverà qualcuno che gioca a carte oppure a dadi o un altro che bestemmia o che giuri sul nome di Dio e della Madonna o di altri santi, oppure faccia pubblicamente qualche altra cosa scandalosa contro l’onore di Dio, lo corregga con carità, umiltà e mansuetudine, sempre dimostrando di averne compassione.
  26. Nessuno senza averne avuta la licenza dal superiore si occupi di affari di estranei, benché si tratti di cose buone, perché si possa dare tutto al servizio degli infermi.

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