Convegno internazionale dei religiosi camilliani cappellani ospedalieri – 3 Giorno

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 RELAZIONE : Il mondo in cui operiamo: “le gioie e le tristezze del mondo della salute sono le nostre gioie e le nostre tristezze” (Gaudium et Spes 1) di Rosabianca Carpene

RELAZIONE: Una sfida nuova e antica: le cure palliative di Laura Marotta

6 novembre 2016

IMG_2279        La giornata (terza) del Convegno si è aperta con la celebrazione delle Lodi. Il moderatore riassume quanto detto nella giornata precedente. Dà poi la parola a don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio Pastorale della Salute della Conferenza episcopale italiana, invitato a tenere una relazione dal titolo: “La Chiesa universale e il contributo del carisma camilliano all’esercizio della sua missione”.

“Le strutture da sole non hanno vita e non danno vita. La possono dare solo attraverso persone animate dallo Spirito datore di vita”: così esordisce don Arice, sottolineando che soltanto “uomini nuovi” generano vita nuova anche nel ministero pastorale e in questo della pastorale della salute.

La missione apostolica dei Camilliani nella chiesa e nella società, secondo don Arice, è caratterizzata dai seguenti “passaggi”: vocazione alla vita consacrata, attraverso il carisma di fondazione e attraverso il cammino ecclesiale, la storia, il contesto sociale e culturale, le risorse umane, economiche ecc.

Gesù in mezzo alle persone riunite nel suo nome è disposto a illuminare il cuore di coloro che vogliono comprendere la sua dottrina. Se non riusciamo a risolvere o spiegare problemi, rivolgiamoci con le nostre richieste a Lui presente dove “due o tre sono riuniti nel suo nome”.

La missione dei Camilliani, fedele al carisma del fondatore, può essere corroborata e meglio compresa alla luce delle parole che papa Francesco ha rivolto ai partecipanti al capitolo generale dei sacerdoti di Schönstatt il 3 settembre 2015: “… Dopo questi anni di cammino, vi preoccupa mantenere vivo il carisma fondazionale e la capacità di saperlo trasmettere ai più giovani. … Voi sapete che un carisma non è un pezzo da museo, che resta intatto in una vetrina, per essere contemplato e nulla più. La fedeltà, il mantenere puro il carisma, non significa in alcun modo chiuderlo in una bottiglia sigillata, come se fosse acqua distillata, affinché non sia contaminato dall’esterno. No, il carisma non si conserva tenendolo da parte; bisogna aprirlo e lasciare che esca, affinché entri in contatto con la realtà, con le persone, con le loro inquietudini e i loro problemi. E così, in questo incontro fecondo con la realtà, il carisma cresce, si rinnova e anche la realtà si trasforma, si trasfigura attraverso la forza spirituale che tale carisma porta con sé.”. Bisogna “stare «con l’orecchio nel cuore di Dio e la mano nel polso del tempo». Sono questi i due pilastri di un’autentica vita spirituale”.

  L’identità carismatica si può comprendere secondo due dimensioni: itinerante e comunicante, perché il carisma va letto nella storia.

Itinerante, poiché il carisma non è qualcosa di statico, ma si muove con il muoversi delle vicende storiche. Comunicante, cioè in dialogo con le stesse vicende.

Propria dei consacrati è la profezia e non la radicalità della vita evangelica. I consacrati sono chiamati a svegliare il mondo essendo “segni” del Regno; quindi per essi e in essi deve essere sottolineato il primato di Dio; occorre la testimonianza di una comunione fraterna nella quale s’incarna il carisma.

Circa un carisma a servizio degli infermi, per i Camilliani è utile ricordare due figure che collaborano con san Camillo, una citata da p. Sanzio Ciccatelli nella sua biografia del Santo di Bucchianico, fr. Orazio Porgiano; e padre Giovanni Battista Pasquale (“martire della carità”) che lasciò la vita per aver curato gli appestati nella peste di Palermo. Entrambi hanno messo gli infermi al centro della loro vita, in maniera fondamentale e radicale.

     Ci possiamo ora chiedere in che contesto socioculturale oggi sono chiamati a vivere i Camilliani, quali sfide devono affrontare per rendere vivo e vivace  il carisma?

Sappiamo che la storia è in continuo mutamento: le sfide sono, allora, i segni di questa storia in evoluzione. Non si deve rimpiangere mai un passato che non ritornerà; occorre accogliere il presente che ci pro-voca (la lineetta non è casuale) a un servizio non semplicemente filantropico (chiunque potrebbe renderlo), ma che ha per obiettivo l’evangelizzazione, il portare la “buona novella” ai poveri, ai sofferenti.

Un aiuto autorevole ci viene dall’esortazione apostolica di papa Francesco Evangelii Gaudium, il “programma” per la Chiesa secondo lo stesso papa Francesco. Ai nn. 54 e 55 della E.G. il papa fa una critica stringente a quella che lui chiama “un’economia dell’esclusione”. Dice chiaramente no a una nuova idolatria del denaro, che governa invece di servire, all’inequità che genera violenza ecc. Si tratta di una “nuova cultura” che immiserisce l’uomo, verso la quale la Chiesa ha il dovere di opporsi. Soprattutto si tratta di nuove sfide culturali poste da un’umanità che rischia di dimenticare i bisogni spirituali, di trascendenza.

Il papa ricorda, poi, che vi sono molte discriminazioni e che la “peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale”. L’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; aggiunge il papa: “hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. L’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria.” (E.G. n. 200).

            Il compito dei consacrati, e in essi dei Camilliani, è di ascoltare “il grido dei poveri” che non si limita a richiedere giustizia economica o sociale, ma che riguarda anche la “discriminazione spirituale” di cui parla il Papa, una discriminazione “sottile”, ma forse fra le più gravi forme discriminatorie. Ne parla ampiamente anche il cardinal Kasper nel suo saggio “Misericordia”.

Vi sono vari tipi di povertà: economica, culturale, di salute e spirituale. Occorre affrontare tutti questi tipi di povertà, anche se l’attenzione in generale è principalmente per quella economica; certamente molto importante in una situazione d’imperante neoliberismo che non mira al bene comune ma la bene individuale, con tutte le possibili esclusioni che esso provoca.

Siamo davanti a quella che papa Francesco ha individuato come la “cultura dello scarto”. Occorre domandarsi quale antropologia stia oggi alla base delle nostre culture, della cultura occidentale in particolare. Non parliamo più di “personalismo”, non individuiamo un’antropologia, ma più antropologie che non si confrontano. Tutto questo ha un peso anche sulla cura: siamo passati dalla medicina dei bisogni alla medicina dei desideri; le nuove tecnologie sembrano poter risolvere tutto, provocando un “delirio d’immortalità”. Ma l’essere umano è mortale…

Sempre sul tema delle povertà, sicuramente importante oggi, soprattutto per i Paesi in via di sviluppo, è la povertà di salute. Ma non dobbiamo dimenticare la povertà spirituale: oggi, una vita spirituale è a volte invocata con disperazione, poiché senza di questa la vita non ha senso e significato.

Questa potremmo chiamarla una “diagnosi del nostro tempo”: occorre ora andare oltre. Questo si può fare essendo presenti in com-unione, con com-passione per una con-solazione. Jorge Mario Bergoglio nel discorso ai cardinali in conclave prima dell’elezione individuò con chiarezza l’identikit non soltanto del prossimo papa ma anche della “prossima” Chiesa: “Pensando al prossimo Papa: un uomo che, attraverso la contemplazione di Gesù Cristo e l’adorazione di Gesù Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso le periferie esistenziali, che la aiuti a essere la madre feconda che vive “della dolce e confortante gioia dell’evangelizzare”. Ecco, le periferie esistenziali devono interessare la Chiesa, quindi i consacrati, quindi i Camilliani.

grp work3          Con una specificità per i Camilliani: quella di essere al servizio della “salute integrale” dell’uomo, vale a dire non soltanto benessere fisico (come tendenzialmente pensa la cultura odierna), ma benessere psichico e spirituale. Possiamo allora dire che il cappellano deve essere il sacramento della presenza del Christus medicus e della sua Chiesa per portare la luce e la grazia del Signore fra coloro che soffrono.

Il carisma camilliano oggi a servizio di tutta la comunità, deve essere luogo di promozione della cultura della vita, essendo capaci di dire una parola “universale” nel mondo della cura a servizio della cultura dell’incontro e del dialogo che accompagni il malato con una relazione di aiuto integrale anch’essa, cioè non limitata (come si tende oggi) al fisico ma aperta a offrire aiuto a una ricerca di senso e di significato della vita; che porti nel cuore il desiderio che tutti giungano all’incontro con il Cristo Gesù.

Nel lavoro di cappellani, dentro una Chiesa rivolta verso le periferie non soltanto di luogo, ma morali e spirituali, si deve privilegiare il più povero. Questo significa – e per i Camilliani è basilare – dedicarsi ad esempio con cura affettuosa e sollecita all’accompagnamento dei morenti (“un tempo non eravate chiamati i padri della buona morte?”).

Per questo, la spiritualità, la vita nello Spirito e il “colloquio” stretto con il Padre a imitazione di Gesù di Nazaret, deve essere alla radice di ogni azione; ricordiamo che la crisi di senso della vita è anche crisi di senso nella vita religiosa.

Nella mattinata si è avuto un incontro dei presenti con il superiore generale dell’Ordine, padre Leocir Pessini; un incontro aperto, fraterno, durante il quale i partecipanti che lo hanno desiderato, hanno potuto porre al Superiore generale numerose domande.

Padre Pessini, oltre a rispondere con dovizia di ragioni, ha tenuto a sottolineare in particolare l’importanza che nella situazione sociale, culturale e spirituale-religiosa di oggi può avere il Camillianum, che deve essere rivitalizzato e reinventato, passando dall’essere non soltanto “facoltà teologica”, ma luogo di sperimentazione e di ricerca nel campo della pastorale della salute, un compito che attualmente pare non essere svolto da alcuno.

La mattinata si è conclusa con la celebrazione eucaristica presieduta da padre Pessini che nell’omelia ha voluto sottolineare l’originalità, l’arditezza e nello stesso tempo l’utilità per una riflessione sulla vita nello spirito da parte dei religiosi, dell’accostamento fatto tra il Buon Samaritano e la Samaritana nel suo intervento da parte di padre Monks. Se il Buon Samaritano è il riferimento principe per l’azione di un religioso camilliano, la Samaritana che interroga Gesù sul suo essere e nel colloquio scopre un “Dio mai così vicino”, diventa esempio di discepolato e di vita nello Spirito, vita di continuo riferimento al Signore.