Lettera a San Camillo

di p. Efisio Locci

Celebriamo la tua festa in periodo di epidemia, quindi con una venatura di tristezza, ma anche  con la gioia  che ci viene dalla convinzione che, seguendo la strada segnata da te, si arriva a una meta gloriosa. La tua strada è quella delle ”opere di misericordia” e in particolare quella di curare i malati “nel corpo e nello spirito” negli ospedali e nel mondo. Anzi ci hai raccomandato di “non prendere mai servizio negli ospedali solo spirituale”(Lt) (Vedi lettere per gli  ospedali di: Mantova,  Ge  Na, bolla Clemente VIII). Sapevi bene, infatti, che il messaggio evangelico riguarda tutto l’uomo e tutti gli uomini. Gli eventi della storia, purtroppo, hanno spinto contro i tuoi ordini e le tue raccomandazioni.

In molti paesi ci siamo ridotti quasi esclusivamente al servizio spirituale. Sembra quasi che ti abbiamo ascoltato solo a metà, per l’assistenza spirituale, mentre l’assistenza corporale è quasi scomparsa dal nostro orizzonte. Una riduzione che i camilliani faticano a portare avanti, gli ambienti sanitari ci emarginano e i giovani trovano poco attraente, mentre nel primo mondo invecchiamo senza grandi speranze. Eppure ci sono tanti giovani, nelle moderne organizzazioni di volontariato, che si dedicano alle opere di misericordia.

Ci sono nella nostra storia, passata e recente, dei buoni tentativi di ricuperare l’assistenza completa al malato che hanno fatto rifiorire l’Ordine. Hanno avuto il coraggio di guardare alla grandezza della persona umana che è stata salvata interamente e non possiamo essere testimoni del Regno di Dio curandoci solo dello spirito e non di tutto l’uomo. Il fascino della Redenzione è nello sguardo olistico sull’uomo, fatto di carne e spirito.

Il nostro mondo è diventato molto sistematico, molto preciso, ogni azione è regolata dalla legge. Oggi non possiamo fare quello che facevi tu, caro San Camillo. Per servire e curare il malato bisogna avere le professionalità necessarie, ma i Camilliani, salvo eccezioni, non hanno dato importanza alla professionalità e così rischiano di trovarsi impreparati e emarginati. La stranezza di questa realtà è che tu avevi raccomandato che “alla nostra Religione non solo sono convenienti  ma anco necessari ogni sorta di studi … come mezzo per realizzare il nostro ministero” (Vm, p. 131-32, a cura di Sannazzaro).

Mi domando: non sarà il caso, come è già avvenuto nella nostra storia dando frutti positivi, di ripensare al “servizio completo” e preparare adeguatamente i pochi o molti giovani che il Signore darà all’Ordine? Esattamente come volevi tu, p. Camillo, e gli antichi documenti camilliani ci raccontano, e le esigenze di rinnovamento del Vat. II ci sollecita, e l’organizzazione del mondo moderno esige?  Mi chiedo: perché non raccogliere la sfida preparando una nuova visione, preparando i religiosi anche professionalmente, per predicare il Vangelo nel mondo moderno “curando i malati” ? Mi pare siano i suggerimenti che ci vengono dal Vaticano II: “L’aggiornamento degli istituti dipende in massima parte dalla formazione dei membri … che comprende: la formazione religiosa e apostolica, dottrinale e tecnica, col conseguimento anche dei titoli” PC 18