Camilliani al servizio sulle navi ospedale: correva l’anno 1912

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P. Tenaglia, Camilliano

“Oggi abbiamo passato i Dardanelli non senza provare qualche emozione poiché appena entrati i Turchi hanno sparato due colpi di cannone per farci fermare. Dopo circa tre ore di aspettativa del pilota credevamo di poter seguire il nostro cammino indisturbati ma… altri colpi di cannone, uno dei quali a palla, ci fecero fermare!”

Sono queste le parole del Padre Francesco Tenaglia che scrive al Padre Generale, Vido, dal Mar di Marmora il 12 novembre 1912, imbarcato come cappellano militare sulla nave ospedale “Re d’Italia” in navigazione verso Costantinopoli.

Su di un’altra nave la “Regina d’Italia” era, invece, imbarcato, sempre come cappellano militare, il Padre Isaia Francucci.

Siamo nel pieno della guerra italo-turca, o altrimenti conosciuta come guerra di Libia, che fu combattuta dal Regno d’Italia contro l’impero ottomano tra il 1911 e il 1912.

Le due navi partirono dal porto di Spezia il 4 ottobre del 1911 dopo aver subìto un completo riassetto per essere trasformate in navi ospedale, fornite di lavanderie sterilizzatrici, gabinetto per radioscopie, gabinetto chirurgico, pronto soccorso.

Il comandante, i medici, gli infermieri, i nostri cappellani, tutti, nonostante la gravità e pericolosità della situazione, erano consapevoli della loro missione di andare a salvare delle vite.

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Un malato mentre veniva trasportato a bordo della nave ospedale

Le due navi fecero da spola tra fra l’Italia, la Libia e l’Egeo toccando le città del teatro bellico Tripoli, Tobruk, Derna, Homs, Bengasi, Rodi. Compiendo 55 viaggi; ospedalizzarono e rimpatriarono nei porti di Napoli, Palermo e Catania 30.680 infermi (11.112 da parte del Re d’Italia – 9985 ammalati e 1127 feriti – e 14.568 da parte del Regina d’Italia).

Il commovente racconto ci viene dettagliato dalla fitta corrispondenza del Francucci e del Tenaglia nella quale traspaiono tutti i loro sentimenti e passioni, consapevoli di essere chiamati ad essere strumento di Dio e della Patria nello svolgere la loro missione anche a rischio della propria vita.

Nelle lettere, si susseguono momenti di tranquillità, dove i due religiosi si lasciano andare alla descrizione dei paesaggi che li circondano, per poi passare, repentinamente, alla descrizione concitata di rudi barbarie dove gli arabi “ferivano, ammazzavano non solo i già feriti, ma anche quelli che li curavano” come ci viene descritto in una lettera del 25 ottobre 1911 dal Padre Francucci :“il giorno 23 ci fu uno scontro e una sommossa degli arabi i quali armati, dalle case sparavano alle spalle dei nostri soldati, e specialmente due compagnie di bersaglieri sono state quasi distrutte … degli altri soldati alcuni feriti ed altri morti, non si sa il numero dei morti: qui nella nave ci sono ben 200 e più malati, la maggior parte feriti. […] Lo strepito di cannoni, i colpi dei fucili, il correre alla rinfusa della cavalleria araba, e quasi del tutto distrutta dalla nostra artiglieria; la giornata magnifica, tutto concorreva a suscitare nell’animo sentimenti di trepidazione per tanti poveri giovani”.

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Cartolina raffigurante la nave “Re d’Italia”

E ancora ci viene descritta la triste e tragica vicenda della sepoltura data a due soldati morti di tifo che, non potendo restare a lungo sulla nave, impossibilitata a riprendere il suo cammino a causa di una furiosa burrasca, furono tumulati in un luogo sicuro da ogni possibile profanazione dove furono deposte le due casse ed un cumulo di terra, di pietre e la croce di legno segnarono il posto dove giacciono i due caduti lontani dalla patria amata […].

Queste lettere, che si conservano nell’archivio della Maddalena, corredate da fotografie e cartoline che documentano la tragica vicenda, oltre ad essere un prezioso spaccato di storia ci narrano ancora una volta la dedizione dei religiosi camilliani nel seguire la loro missione con gioia e spirito di sacrificio verso il prossimo.

Per il servizio reso i due cappellani furono decorati per le “benemerenze acquistatesi nella delicata missione durante la guerra, nominati dal Re “motu proprio” cavalieri della Corona d’Italia”.

Luciana Mellone