Animazione della vita fraterna comunitaria oggi

di P. Andrea Arvalli in Vita Nostra, Anno LII – n.2, Aprile-Giugno 2001 pp.204-211

Conferenza tenuta a Verona- San Giuliano il 24 maggio 2001 per l’incontro annuale di formazione, presenti una cinquantina di religiosi. Il tema – collegato a quello dell’autorità nella vita religiosa – ha suscitato interesse e discussioni, e ha provocato ulteriori domande e proposte concrete di realizzazione. Il relatore, p. Andrea Arvalli dei Conventuali di Padova, è maestro dei novizi.

La resistenza ad ogni discorso sulla comunitaria

Non è infrequente incontrare resistenza ogni volta si debba parlare di vita comunitaria. Come mai tante diffidenze? Vediamo alcuni di questi motivi.

Un primo è legato alla paura di finire nuovamente “ingabbiati” entro strutturazioni comunitarie troppo rigide, in un ritorno alla pratica degli “atti comunitari”. In realtà se parliamo di vita fraterna in comunità, non è per guardare alle pratiche comunitarie, ma per la vitale necessità di migliorare la qualità della nostra vita fraterna.

In uno dei documenti magistrali sulla vita religiosa più bello degli ultimi anni, Vita fraterna in comunità (del 1994), si chiarisce bene che il valore da difendere è quello della vita fraterna, mentre la comunità è solo un mezzo o strumento. È un rapporto che potremmo paragonare a quello fra anima e corpo. La vita comunitaria fornisce ai religiosi quelle strutture (strutture di plausibilità) che permettono al valore “vita fraterna” d’incarnarsi, crescere, e germogliare.

C’è poi una perplessità, dura a morire, che riguarda il contenuto stesso del valore di cui parliamo: la vita fraterna in comunità è costituita o meno dell’identità religiosa? In non pochi dei nostri ambienti sembra vivo il sospetto che tutto sommato non sia poi cosi importante. Alle volte si ha l’impressione d’essere guardati con sorpresa («vi siete messi in testa di fare i santerelli?»). questi dubbi, raramente detti ad alta voce, ma in pratica attivi, sono indicativi di una fatica reale. Non sembra penetrata l’idea che gli elementi caratterizzanti la vita religiosa sono almeno tre: consacrazione attraverso i voti, vita comunitaria, e missione apostolica.

Troppo spesso la vita religiosa è stata pensata individualisticamente come caratterizzata solo dalla consacrazione con i voti, cui poi andavano aggiunte le attività apostoliche. Erano prospettive teologiche asfittiche e riduttive, che non riescono certo a delineare l’identità del religioso. Inoltre oggi nessuno può fingere d’ignorare che la missione non è identificabile con le attività. La vita religiosa è infatti missionaria con la vita prima che con le opere, con l’esempio prima che col fare, con la vita fraterna prima che con il nostro predicare. Lo sappiamo, ma ci crediamo davvero? Quali conseguenze ne deduciamo?

Vi sono poi incertezze vissute per anni sul ruolo dell’autorità. Come va interpretata, e compresa? Dietro alcune prese di posizione riconosciamo le tentazioni di due indirizzi più radicali: quello di chi considera l’autorità non necessaria, ed accentua la dimensione egualitaria, (dal «siete tutti adulti e sapere che dovete fare») fino alla “obbedienza opzionale”), e quella invece di chi giudica ancora l’autorità come elemento fondante ed assoluto (in pratica: quelli che stanno male se non ricevono ordini e disposizioni precise e sognano un ritorno dei superiori autocrati d’un temo).

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