Coraggio, sono io, non aver paura

 di p. Gianfranco Lunardon

Le letture bibliche di questa XIX domenica del tempo ordinario ci spingono ad addentrarci nell’impegnativo cammino che ogni credente è chiamato a compiere quotidianamente: la conversione teologica, la conversione del ‘volto di Dio’ di cui ciascuno di noi è depositario per tradizione, per cultura o per formazione: dal volto e dall’esperienza di Dio che possiamo definire “un Dio, per sentito dire”, cioè come l’abbiamo in mente, al Dio biblico, al Dio rivelato dalle parole e dalle opere testimoniate da Gesù.

Le letture presentano due scene in cui Dio si manifesta, venendo incontro all’uomo specialmente nei momenti di necessità, quando questi lo invoca con fede. Il Dio dei profeti e di Gesù è colui che prende le difese dei deboli e che agisce con modi e tempi che sconquassano le attese di coloro che pretendono di sfidare o di manipolare Dio stesso. Egli non è nei fenomeni naturali eclatanti, vento, terremoto, fuoco che con la loro impetuosità facilmente potrebbe piegare la libertà e la volontà dell’uomo, ma solo per timore e paura. Dio si rivela nel soffio leggero della brezza, quasi a significare la spiritualità e l’intimità delle manifestazioni stesse di Dio all’uomo.

Il protagonista della prima lettura è il profeta Elia, presentato non tanto nella sua grandezza profetica, ma come un uomo in fuga. Elia, custode fedele delle antiche tradizioni mosaiche, si oppose con tutte le forze alle numerose degenerazioni che la religione israelitica subiva in quegli anni e in quell’ambiente. Egli condusse una battaglia personale contro la corte di Samaria, contro il re Acab e la regina Gezabele, soprattutto contro l’innumerevole schiera dei profeti – sacerdoti di Baal. Dopo la sua trionfale vittoria nella sfida sul monte Carmelo, Elia fece uccidere tutti i 450 profeti di Baal, suscitando così l’ira della regina che lo voleva morto ad ogni costo: perciò il profeta dovette fuggire.

Giunto all’estremo sud della terra d’Israele, scelse di restare solo e si inoltrò nel deserto, angosciato e deluso, spaventato dalle minacce dei potenti e amareggiato per il tradimento del popolo.

Elia giunto sul monte Oreb, luogo dell’incontro con Dio, aspetta che questo si manifesti – secondo le sue attese ed aspettative. Il profeta è tutto preso dai suoi problemi, ripiegato testardamente su se stesso. In quel contesto di buia angoscia si fa udire la voce del Signore: la similitudine esistenziale di profondo scoramento con la situazione dei discepoli nella notte buia sul lago tempestoso è evidente.

“Ed ecco il Signore passò”. Il narratore accenna quindi a tre tipici fenomeni che accompagnano i racconti di manifestazioni divine: l’uragano, il terremoto e il fulmine. “Ma il Signore non era nel vento, non era nel terremoto, non era nel fuoco”. È evidente l’intento di indicare che il Signore si manifesta in altro modo rispetto all’immaginario comune, soprattutto come si aspettava Elia.

Il modo della divina rivelazione è descritto come “il sussurro di una brezza leggera” o più letteralmente come “la voce di un silenzio sottile”. La parola di Dio si percepisce nel silenzio lieve di una presenza che ama: Elia riconosce tale presenza e, per rispetto, si copre il volto e obbedisce, esce e sta fermo davanti al Signore. Lo accoglie e si lascia cambiare.

Sovente siamo portati anche noi a cercare i significati delle cose che facciamo o delle situazioni che viviamo o delle relazioni che strutturiamo secondo paradigmi di ‘potenza’: questo brano del primo libro dei Re attesta che è necessario creare dentro e fuori di noi un clima di silenzio e di attenzione perché spesso Dio ci parla attraverso le piccole cose che ci capitano quotidianamente.

Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo che si rivolge ai romani con parole che tradiscono sentimenti di amarezza e di delusione per la durezza di cuore dei suoi fratelli di fede ebraica che non avevano riconosciuto in Cristo il Messia annunciato dai profeti (cioè che sono rimasti al Dio “secondo me”, alle prescrizioni del culto, della legge, delle alleanze), e si dice addirittura pronto ad essere anàtema, cioè di attirare su di sé la maledizione divina pur di ottenere la conversione di Israele. Ecco quindi un secondo atteggiamento, quello di non saper riconoscere il messaggio che Dio ci trasmette per aiutarci a crescere nella fede, ma il richiuderci in noi stessi, aggrappandoci ad una tradizione che spesso ci siamo creati a nostra misura e convenienza.

Nel vangelo, Gesù dice ai suoi discepoli di imbarcarsi e precederlo sull’altra riva e sale sul monte da solo a pregare. Troviamo sovente nel Vangelo questo atteggiamento di Gesù, questo intenso desiderio di stare da solo a pregare. È un invito che rivolge anche a noi, soprattutto nei momenti ‘burrascosi’ della nostra quotidianità o in quelli faticosi di malattia, di difficoltà, di incomprensione, certi che nella burrasca Lui veglia su di noi ed è pronto a venirci incontro.

Dopo il racconto della moltiplicazione, o meglio, della condivisione dei pani e dei pesci, il vangelo ci propone l’evento di Gesù che cammina sulle acque, mentre i discepoli sono immersi nella bufera, irretiti dalla paura. Questi due racconti ci possono dare simbolicamente i due volti della fede, quella donata (anche se Gesù costringe i discepoli a mettere qualche cosa di loro e non a mandar via la gente), e la fede come responsabilità e presa di coscienza.

Scegliere di seguire Cristo non è una garanzia contro le avversità, le angosce, le sofferenze della vita, non è culto ma è vita, non un fantasma, ma una realtà nuova che chiede di essere accolta e poi di essere performata in parole ed opere come testimonianza della nostra fede e della nostra speranza.

Nel rimprovero a Pietro, Gesù rivolge anche a noi un esplicito invito al coraggio della fede e a lanciarci nel campo rischioso del dubbio e dell’incontro con una realtà diversa da ciò che avevamo progettato: “Io sono, non avere paura!”. Pietro rappresenta ciascuno di noi e tutta la chiesa: quando volgiamo gli occhi al Signore e alla sua chiamata, abbiamo fiducia e riusciamo ad avanzare; quando fissiamo lo sguardo sulle nostre difficoltà, la paura o lo sconforto ci assalgono e cominciamo ad affondare. Rimane sempre nel cuore il grido: “Signore, salvami”. È la radice inalienabile della fede: Gesù si presenta non come una relazione instabile, fantasmagorica, ma con la solidità della potenza salvifica di Dio stesso, con la credibilità del nome stesso di Dio, del Dio dell’Esodo e dell’Alleanza: “Io sono”.

La paura uccide il coraggio e rende impossibile l’incontro con il Signore. Se pensiamo ai nostri interessi, ai nostri progetti, alle nostre preoccupazioni, se vediamo solo ciò che minaccia un certo ordine sociale, tutto sommato comodo (anche se spesso criticato), tutto ciò che non entra nelle nostre previsioni ci fa sentire minacciati e ci pone in preda al panico. Se invece siamo capaci di guardare al Signore, al suo progetto di umanità nuova, potremmo vedere i germi del mondo più umano e più giusto a cui egli ci chiama.

La paura suggerisce solo nostalgia del passato e reazioni di difesa. Ma i cambiamenti non si possono esorcizzare con la paura.

Pietro sapeva nuotare, ma la paura lo blocca. Pietro pensava di credere, ma la propria fede bisogna continuamente impratichire. Nella barca, in mezzo alla tempesta, tutto l’onore e la stima degli altri non contano più: è quando si è soli che emerge davvero chi sei. Ed ecco allora che è nel momento della difficoltà che avviene l’incontro con Dio, che non risolve le questioni, ma ci dà la forza per superarle. Nella tempesta Gesù afferma: “Coraggio, sono io, non aver paura”.

Gesù c’invita ad avere fede e fiducia in lui perché sa che la fede può aiutarci a camminare sulle acque insicure della vita e che, attaccandoci a lui che ha sempre una mano tesa verso di noi, possiamo evitare di sprofondare quando ci manca il terreno sotto i piedi. Gesù è un’ancora di salvezza preziosa, coltivando la nostra fede con la preghiera e l’ascolto, sappiamo poi dove attaccarci nel momento del bisogno, come Pietro che grida: “Signore, salvami!”.

Il messaggio biblico di questa domenica, trova la sua sintesi nella preghiera del salmo che ci invita ad invocare la misericordia di Dio, per gustare l’abbandono in Lui che annuncia amore nella verità e pace nella giustizia, per tutto l’uomo e per ogni uomo!