La croce rossa di Camillo nella peste di Bologna (1630)

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La peste del 1630 a Bologna – Anonimo bolognese (prima metà del XVII sec.)

In copertina particolare del dipinto “La peste del 1630 a Bologna” – Anonimo bolognese (prima metà del XVII sec.)

12 Agosto 1864 Nasce la Convenzione Internazionale della Croce Rossa dalla quale i Nostri possono chiamarsi meritatamente i “precursori”! (Agenda Camilliana)

Un quadro di Anonimo del XVII sec. riporta la descrizione dell’assistenza agli appestati di Bologna nell’epidemia del 1630. La descrizione è quanto mai particolareggiata e si riferisce ad una delle piazze più importanti della città.

Un particolare che colpisce la nostra attenzione è che vi sono persone che indossano casacche bianche o nere, secondo il compito loro affidato: assistenza per i colpiti dal terribile morbo, oppure di sepoltura per i morti.

Tutti (bianchi o neri) portano in bella vista un distintivo sulle casacche: è una croce rossa. La divisa fu ideata, quasi certamente, dai Camilliani che, durante la peste di quel periodo, ebbero ruoli fondamentali e particolari, come è possibile dedurre da alcune pagine di Storia dell’Ordine del P. Sannazzaro.

 

A Bologna i primi casi si riscontrarono nel maggio 1630. In sette mesi (maggio-dicembre) si ebbero 13.398 vittime su una popolazione di 61.559 abitanti nel centro urbano, e 16.300 nel contado.

La lotta contro l’epidemia fu diretta dal card. Bernardino Spada, legato pontificio, che si assicurò ben presto il consiglio e l’opera dei religiosi camilliani che in città erano presenti con una comunità di circa 20 religiosi (sacerdoti, fratelli professi, studenti e qualche oblato); il Superiore era p. Giovanni Battista Campana, romano, di soli 28 anni.

Il card. Spada, appena seppe che anche a Bologna era penetrata la peste, «mandò ordini e bandì per tutta la città, in particolare: che i tocchi (di peste) si sequestrassero in casa loro e nessuno si accostasse ad essi, all’infuori del solo incaricato ad assisterli».

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San Camillo assiste gli appestati alle Terme di Roma Pinacoteca Vaticana Tela attribuita ad Andrea del Pozzo (1642-1709)

Il p. Campana, fu chiamato a far parte dell’Assunteria di Sanità (Commissione sanitaria cittadina). Fu pure incaricato di disinfettare lettere e far fare la quarantena a persone e cose che venissero da luoghi sospetti, inoltre con piena appoggio del Legato (e previ accordi con l’Assunteria di Sanità) aprì un lazzaretto per i sospetti fuori porta S. Stefano, sopra una collina chiamata Belpoggio, e uno a Castelfranco (…) destinandovi a presiederlo due suoi Religiosi per ciascun Lazzaretto ».

Per l’assistenza ai lazzaretti si chiese l’aiuto di altri religiosi alla consulta generale, la quale, pur avendo in precedenza già mandato alcuni padri e fratelli, inviava tre giovani professi di Roma.

Le dolorose notizie di Bologna interessavano personalmente, in modo particolare, quattro membri del governo generalizio tanto che i padri Novati, Zazio e Ottavio Danieli ricorsero al card. Ginnasi protettore, per ottenere l’autorizzazione di andare anch’essi a Bologna ad assistere gli appestati. Ottenutone il consenso, chiesero il permesso al p. Generale, che avrebbe voluto unirsi a loro, ma ne fu trattenuto dal pontefice Urbano VIII, con la promessa che avrebbe avuto un particolare incarico, qualora l’epidemia fosse scoppiata a Roma. Ai tre volle aggiungersi il fr. Prandi, bolognese.

Si aprì un altro lazzaretto alla Madonna degli Angeli per gli «infetti » la cui direzione fu affidata al camilliano p. Luca Pinocchi. Un altro fu aperto per le donne fuori porta S. Mammolo, sotto la responsabilità del gesuita p. Angelo Orimbelli. Al p. Campana, già esperto in materia e soprintendente a Belpoggio, incombeva l’onere dell’accettazione dei sospetti, della direzione del personale, dell’approvvigionamento e del retto andamento del pio luogo.

Il piano d’organizzazione assistenziale in città fu ristrutturato.

Furono designati quattro visitatori generali, destinati a presiedere ciascuno ad un quartiere della città, con l’autorità di fare eseguire le disposizioni dell’Assunteria di Sanità. Essi furono: p. Novati, p. Palomba, p. Ottavio Danieli e fr. Prandi, tutti camilliani. Ognuno era coadiuvato da un altro ministro degli infermi. Il p. Zazio fu costituito commissario generale per lo «spurgo».

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Firenze, Museo nazionale del Bargello. Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), “Urbano VIII Barberini”,1632. Marmo, 102 cm (con la base).

Le mansioni dei quattro visitatori abbracciavano «infinite opere di carità: visitavano gli infermi, li consolavano, (quelli che erano sacerdoti) confessavano e talora, quand’era bisogno, facevano provvedere loro delle cose necessarie; e quelli che non avevano comodità nelle case li facevano portare ai lazzaretti, procurando che i sospetti fossero rinserrati nelle case et a suo tempo li liberavano».

Avevano alle loro dipendenze gli «Assunti», od incaricati speciali per le singole parrocchie, i quali dovevano presentarsi, ogni sera, alla nostra casa di s. Colombano, per rimettere al visitatore generale del proprio quartiere, la distinta dei sospetti, infetti e morti della giornata. Il giorno seguente il visitatore provvedeva e disponeva in merito.

Medici, chirurghi, barbieri, monatti, tutti erano alle dipendenze dei visitatori, che ne disponevano quando e come richiedeva il bisogno.

La peste diminuì sensibilmente nell’autunno, per scomparire con l’inverno. Complessivamente furono nove i camilliani morti di peste a Bologna; ma anche gli altri (quasi tutti) contrassero il morbo. La loro bella prova ebbe risonanza anche negli ambienti della curia romana. Urbano VIII e tutta la corte ammirarono «il buon saggio dato in quell’occasione dai Ministri degli Infermi».

In effetti si tratta di uno delle maggiori manifestazioni di carità per l’esempio, il servizio e la capacità di coinvolgimento in uno dei momenti più difficili del sec. XVII. D’altra parte, l’assistenza agli appestati anche con pericolo di morte, costituiva il fiore all’occhiello con il quarto voto che i Ministri degli infermi hanno sempre mantenuto, come testimonianza viva di “martirio della carità”.

L’annosa questione della paternità della croce rossa