La peste del 1624 e del 1630

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In copertina San Camillo chiesa di Santa Ninfa – Palermo

Nel maggio 1624, Palermo fu invasa dalla peste bubbonica. Probabilmente è questo il primo incontro che l’Ordine ebbe con essa. Le precedenti epidemie (in particolare quella 1590-91 in Roma) furono di tifo petecchiale, e o di febbri pestilenziali. Il nome di peste stava per indicare un’epidemia e qualunque epidemia.

In Italia, nel 1630, la peste fu portata dalle truppe francesi e imperiali, scese nella penisola per la guerra di successione del ducato di Mantova. La peste fece il suo ingresso per due vie: con le truppe francesi, entrate in Piemonte a Susa per andare all’assedio di Casale Monferrato; e con i lanzichenecchi di Ferdinando Il venuti in Italia per la conquista di Mantova. In breve quasi tutta la penisola fu colpita, non solo dalla guerra ma dall’epidemia. La prima città a fame le spese fu Mantova, cinta d’assedio nel settembre 1629, dai lanzichenecchi, tra i quali serpeggiava la peste, che penetrò in città verso la fine di dicembre e si diffuse largamente, anche se i medici, per i primi mesi, s’ostinarono a negarne l’esistenza. A metà luglio del 1630 Mantova fu presa d’assalto e barbaramente saccheggiata per tre giorni dalle truppe assedianti, quella ch’era considerata «una delle più splendide capitali del rinascimento», mentre la peste continuava ed allargava le sue stragi. I suoi 50 mila abitanti si erano ridotti a settemila «gialli e sparuti». Tra i religiosi che si prestarono all’assistenza della popolazione e degli appestati, uno storico locale del Settecento, Federico Amadei, dichiara che «spiccarono sopra tutti li Padri Ministri degl’Infermi (che in Mantova si denominano di S. Tommaso) accorrendo dappertutto a porgere conforto a’ poveri moribondi». Anche durante l’assedio, essi si imposero con il loro apostolato «all’ammirazione di quei selvaggi mercenari rapaci (…) che non ardirono usare contro di essi i roghi, le scarnificine, le scorticazioni, le ustioni, le amputazioni con le quali straziavano in pubblico, nelle case, e nei chiostri gli infelicissimi cittadini (…). E dopo essersi logorati per il popolo afflitto, ascesero morendo al cielo come vittime della carità, ostie espiatorie, olocausti a rendere propizia la misericordia divina». L’Ordine nell’epidemia del 1630 ha dato la prova più importante della sua capacità di dedizione. Le comunità messe alla prova furono nove: Milano, Mantova, Bologna, Ferrara, Firenze, Borgonovo, Mondovì, Occimiano, Roma, oltre gli aiuti prestati a località dove i nostri non avevano case, come Modena, Imola e Lucca. I religiosi impegnati nell’assistenza ai contagiosi o nei servizi di spurgo furono centoventi circa, dei quali morirono di peste cinquantasei, e quasi tutti «in servizio di appestati». Tra le vittime si contano religiosi di grande capacità e che coprivano posti di responsabilità nell’Ordine, tale che la loro scomparsa aprì un sensibile vuoto. La consulta ne fu allarmata e, siccome stava per scadere il termine del suo governo e si trovava

nell’impossibilità di riunire il capitolo generale per il maggio 1631, chiese ed ottenne dalla S. Sede la proroga di tre anni, per poter riorganizzare le file e rimpiazzare i vuoti.

Colpisce che nella Positio San Camillo sia riportata la lista dei religiosi morti di peste, aggiornta alla data di pubblicazione degli Atti (1681). È ripresa dalle Memorie storiche di Domenico Regi apparse cinque anni prima. Sono in tutto 168. La palma è alla Casa di Napoli nel 1656, con 39 morti più uno a Gaeta, e quello stesso anno a Genova con 33 vittime, ma figurano con onore anche Palermo nel 1624 con 10, Mantova nel 1630 con 10, Milano nel 1630 con 20, Bologna nel 1630 con 7. Ci chiediamo perché vengono citati nominalmente in un processo canonico estraneo alle loro persone. È presto detto: depone a favore della santità di Camillo l’aver trasmesso ai suoi figli una spiritualità capace di votarsi alla morte in una pestilenza. Prima di essere debellate dal progresso della medicina e dal miglioramento delle condizioni igieniche, le epidemie di peste costituivano un pericolo ricorrente e un incubo. La peste cosiddetta nera (polmonare e setticemica) sfiorava anche il 100% dei decessi, quella bubbonica raggiungeva e superava il 50%.

L’Ordine Camilliano onora come martiri della carità e li ricorda ogni anno il 25 maggio.