L’intuizione fondamentale della vita di Germana Sommaruga

germana e amiche

Germana con Efisia e Teresina, con le quali ha condiviso molti anni

Tratto da: Germana Sommaruga. La vita donata di una donna di speranza, di A. Frattini e L. Moser, Editrice Velar, Cascine Vica (TO), 2012, pp.48

“Nel gennaio del 1936 mi trovavo a Roma postulante dal 14 novembre tra le Figlie di San Camillo. Amavo tale forma di vita, anche se mi era dura, restavo infatti sola tutto il giorno in una sala della comunità sgrovigliando del filo con il quale dovevo preparare tanti gomitoli.

Un lavoro indubbiamente non faticoso, ma soffocante per me che avevo solo 21 anni. Non pensavo però di lasciare la Congregazione dove mi era costato tanto essere accolta e da cui ricevevo esempi magnifici.

Ma il 6 gennaio 1936, mentre la Madre Generale stava benedicendo la mensa, un’idea improvvisa venne a mutare il mio orientamento di vita. Un’idea ancora non nitida ma abbastanza precisa: tornare nel mondo riprendervi gli studi universitari interrotti, dar vita a un movimento di laiche consacrate che nel mondo assistessero i malati nello spirito di San Camillo, che penetrassero in ogni ambiente, anche il più miserabile, e preparassero la via al sacerdote, a Cristo. Si, ma… come fare? Era questo un motivo valido per rinunciare alla vocazione religiosa? Chi avrebbe creduto a questa idea che poteva essere un mio ghiribizzo di giovane esuberante ed entusiasta?

La luce si fece un po’ più chiara tre giorni dopo, in un incontro con il Padre Generale dell’Ordine Camilliano, Padre Florindo Rubini: “… che tornassi nel mondo dove avrei potuto trovare un vasto campo apostolico, per esempio nella sensibilizzazione delle infermiere…” la mia strada in ogni modo non era la via religiosa…

Ascoltai ma non colsi un vero nesso tra le parole del Padre Generale e l’improvvisa idea del 6 gennaio. Ed essa rimase il mio segreto…

carazzo

Padre Carazzo

Il 19 gennaio 1936, prima di lasciare la comunità, telefonai al Padre Carazzo, che avevo conosciuto occasionalmente durante una Messa nel Santuario di San Camillo. Egli non si mostrò né stupito né spiaciuto. Mi disse soltanto: “si ricordi che l’abito non fa il monaco”. A cosa alludeva? Non me lo chiesi, ma in quel momento di desolazione e incertezza dinanzi all’incognita della vocazione, la parola del Padre mi fu di conforto.”

Germana torna in famiglia, riaccompagnata dai genitori. “Il ritorno a Milano – continua Germana – fu l’inizio di un’avventura di fede cieca e di speranza: fu un andare a tentoni, vivendo giorno per giorno nella fedeltà all’idea ancora oscura: almeno avessi saputo che esistevano nella Chiesa altri movimenti laici che volevano una consacrazione per l’apostolato!

Ripresi gli studi, decisa ad approfondire a livello universitario quanto riguardava San Camillo, la sua spiritualità, il suo Ordine. Ma il segreto rimase segreto e non mancarono ore di sgomento.

Solo l’11 febbraio, a pochi giorni dal mio ritorno in famiglia, uno spiraglio di luce. Con un confessore occasionale, un francescano, avevo accennato all’idea.

La risposta fu un invito a continuare nella fedeltà per questa via; bisognava solo avere coraggio “perché – egli disse – chi porta la bandiera dev’essere pronto alla croce”.

Mi manco il coraggio di parlare più con chiunque, di esporre a chiunque l’idea. Di chiedere se venisse da Dio l’attrattiva profonda a vivere nel mondo una forma di consacrazione, nuova, piena, totale, per sempre, in mezzo agli altri, nell’esercizio della professione, nell’attenzione particolare ai morenti, ai malati, ai sofferenti, al loro mondo… era dunque una follia?”

Germana, tornata a Milano, riprende anche il contatto con i Camilliani e questo rende durissima la sua vita in casa perché le viene imposto di non avere questi contatti né – per salvaguardare la sua salute – di frequentare persone malate, che lei invece immediatamente riprende a visitare per il suo desiderio di servizio camilliano. La sua forza interiore le permette di proseguire sulla strada intrapresa. E si impegna con fervore negli studi.

Dall’impegno di questi anni, nascosti ma fecondi, nascerà poi l’Istituto Secolare che prenderà il nome di Missionarie degli Infermi.