“Non importa quanto, ma come si vive”

Ebbi l’occasione di incontrarlo quasi ogni anno: la sua serenità rimaneva inalterata. Era informato del suo stato di salute e conosceva la gravità del suo male, ma lo sosteneva la fiducia in Dio. Considerava la vita e il suo valore in relazione al progetto paterno di Dio. A sua sorella Suor Leontina, delle Figlie di S. Camillo, un giorno ha detto: “La vita non è fine a sé stessa, ma un mezzo come tutte le altre cose che riceviamo per vivere il nostro rapporto con Dio. Quindi non importa che sia lunga o corta; ciò che importa è come la viviamo. Il giorno del giudizio il Signore non ci chiederà se abbiamo vissuto poco o tanto ma se in questo tempo lo abbiamo amato: se abbiamo amato Lui e i nostri fratelli”.

Alla sua serenità aggiungeva la sua disponibilità. Si metteva a disposizione degli altri non considerando la sua malattia, ma il bisogno dell’altro. Personalmente anch’io sono stato più di una volta oggetto di tale disponibilità soltanto tre mesi prima della sua morte.

Ho partecipato alla sua professione perpetua, alla sua ordinazione sacerdotale e … al suo ritorno definitivo a Ouagadougou. Vedo ancora la grande folla di Ouaganesi di ogni livello sociale presenti all’aeroporto di Ouagadougou la sera del 12 dicembre 1996 per accoglierlo e accompagnarlo in un grande corteo alla chiesa parrocchiale di S. Camillo. E il giorno seguente la celebrazione 02-TOEstudentatoeucaristica in suo suffragio in una chiesa piena come nelle grandi ricorrenze, concelebrata da quasi 100 sacerdoti e con la partecipazione di tre vescovi. Soltanto 17 mesi prima in quella stessa chiesa era stato ordinato sacerdote dal vescovo ausiliare Jean — Baptiste Kierdrebeogo.

Si tratta di una partecipazione significativa che parla da sola e non ha bisogno di altri commenti: la stima, l’affetto e la venerazione di cui era oggetto da parte di quanti l’avevano conosciuto si manifestava spontaneamente in quel momento solenne di preghiera per l’ultimo saluto cristiano.

Termino questa testimonianza sottolineando i seguenti tratti della sua personalità che maggiormente rimangono impresse nella mia memoria:

Una costante ricerca della volontà di Dio e il desiderio ardente di rimanere e crescere nel suo amore. L’apertura agli altri e la disponibilità di mettersi al servizio di tutti senza fare distinzioni ne assumendo atteggiamenti di superiorità.

Un’estrema sincerità verso se stesso, nel riconoscere le sue manchevolezze da correggere da cui partire per acquisire le virtù necessarie per diventare un santo religioso.

L’amore per i malati in cui vedeva il Cristo sofferente e il desiderio di poter mettere al loro servizio tutte le potenzialità della sua persona sia umane che soprannaturali senza riservare nulla per sé.

L’amore per la sua terra e per la sua gente; la sofferenza, rimasta sempre nel suo intimo, per le loro difficoltà dovute alla povertà e alla mancanza di mezzi tecnici.

La sua gioia di vivere e la voglia di lavorare per i fratelli malati nonostante il suo cammino cosciente e sereno verso la conclusione prematura dei suoi giorni terreni.

In considerazione di queste qualità i responsabili della provincia l’avevano messo in casa dì formazione, con responsabilità formativa, nonostante la sua malattia, riconoscendo in lui un modello capace di educare più che con le parole, con il suo essere e il comportamento.