Non c’è vita consacrata senza gioia

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Arcivescovo José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica

La gioia è uno degli aspetti fondamentali della profezia che la vita consacrata è chiamata a offrire. Lo ha detto l’arcivescovo José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, durante un incontro sul tema della gioia nella vita monastica.

L’arcivescovo ha sottolineato come Papa Francesco ricordi molte volte che «la gioia è l’espressione pregnante del vissuto fondamentale dei consacrati che scelgono di seguire il Signore “in modo speciale, in modo profetico”». Una gioia, ha fatto notare, che proviene dall’esperienza di sentirsi «pensati, amati e chiamati», come era solita dire Chiara di Assisi. Pensati, cioè, amati e chiamati per nome, con la propria storia fatta di grazia e di peccato. «Sentendosi amato per quello che uno è e come uno è e assumendo il Vangelo come la sua regola suprema — ha affermato — il consacrato risponde con la gioia all’evento della salvezza portata da Gesù Cristo e all’evento della chiamata che gli fa il Signore a seguirlo “più da vicino”». La gioia è fondamentale nella vocazione dei consacrati; per questo, si può dire che essa «non è una possibilità, ma una responsabilità dei consacrati». Essi, infatti, «non possono privare il mondo della testimonianza profetica della gioia che sgorga dalla fede e porta ad abbracciare il futuro con speranza».
L’arcivescovo Rodríguez Carballo ha poi fatto notare come la nostra società abbia bisogno di tante cose. Spesso, infatti, si presenta come una società stanca e molti sono quelli che non credono al futuro. «Sono molti, pure — ha aggiunto — che vivono la sindrome del burn-out o di “spegnimento” emotivo e creativo che spiega anche la tristezza con la quale portano avanti la loro esistenza». Davanti a questa situazione, è urgente la necessità che i consacrati «siano profeti di gioia e quindi di speranza e di futuro».
In un mondo nel quale spesso c’è un deficit di gioia, ha spiegato il presule, i consacrati non sono chiamati a «compiere gesti epici né a proclamare parole altisonanti, ma a testimoniare la gioia che proviene dalla certezza di sentirci amati, dalla fiducia di essere salvati». Sono invitati «a riprendere e spandere gioia “ai vicini e ai lontani”» e a sperimentare «il soffio dello Spirito», lasciandosi amare dal “Padre delle misericordie”, «riappropriandosi e facendo costantemente memoria della chiamata a seguire Cristo “più da vicino”». Contemplando, cioè, il volto di Gesù e imparando dal Vangelo «l’arte di essere autenticamente uomini o donne», chiamati a fare propria la raccomandazione di Paolo di rallegrarsi sempre nel Signore. Infatti, chi segue Dio «vive la “perfetta letizia” anche nelle debolezze, nella marginalità, nelle prove, nelle sofferenze, nelle notti oscure».
L’arcivescovo ha poi ricordato le parole di Papa Francesco all’inizio del suo pontificato: «Dove ci sono i religiosi c’è gioia». Quando il Papa afferma questo, ha detto monsignor Rodríguez Carballo, «sta formulando un desiderio o, meglio ancora, un bisogno, in quanto una forma di sequela Christi come la vita consacrata non si può capire senza gioia: “Una sequela triste è una triste sequela”».
Anche nel suo incontro con i seminaristi e i novizi del 6 luglio 2013, il Papa ha detto che la bellezza della consacrazione è la gioia. «Una gioia — ha sottolineato il presule — non forzata, di convenienza, “di plastica”, ma autentica, quella che proviene dell’incontro con Gesù». Da qui nasce il segreto della gioia dei consacrati: l’incontro con Gesù. «Quanto più profondo è detto incontro — ha affermato — più grande e profonda sarà la gioia dei consacrati». È l’incontro con Gesù quello che «farà mantenere la “gioia anche nelle tribolazioni”». E l’incontro con Gesù «renderà possibile che la gioia non venga meno pur nelle situazioni di sofferenza, di contraddizione e di persecuzione».
L’esempio dei martiri è chiaro ed eloquente. Infatti, è l’incontro con Gesù «la fonte della gioia indicibile e gloriosa, della quale parla Pietro». Per questo, chi «scopre che Dio si è rivelato e donato a noi in Cristo, non può non esultare, come fa Maria nel Magnificat». Allo stesso modo, l’esistenza di coloro che abbracciano il Vangelo come la loro forma di vita, «deve essere animata, dal momento della prima chiamata fino alla seconda chiamata con la visita di “sorella morte corporale”, dalla gioia». Infatti, se un cristiano non si può capire «senza gioia, meno ancora un consacrato». Una gioia, ha aggiunto, che «affonda le sue radici in “Dio mio salvatore”» e che «non riguarda cose contingenti come la fortuna, il bene e il male, ma è radicata sulla fede che Dio è redentore e salvatore, che Dio è il Dio della storia».
L’arcivescovo ha infine concluso sottolineando come la gioia sia una responsabilità. Perciò i consacrati sono chiamati a custodire questo dono «come un vero tesoro», e quindi a combattere «fino a sconfiggere lo spiritus tristitiae e la accidia che sempre ci minacciano, conservando “un cuore credente, generoso e semplice”». Infatti, se non si può pensare un cristiano con «volto di funerale» o come uno che vive in permanente stile di Quaresima senza Pasqua, meno ancora si può pensarlo di un consacrato, perché la vita in Cristo non si può assolutamente comprendere senza gioia.