Vita consacrata oggi: il cammino fatto e le prospettive

 

II/ – VERSO UNA NUOVA VISIONE

 

Bisogna andare più in profondità, ripeto ancora questo ritornello. C’è in effetti questa constatazione: anche ieri, nel tempo in cui la VR ha dato il meglio di sé attraverso le “opere”, con le cose straordinarie che ha realizzato, il vero compito a cui ha saputo far fronte – adempiuto anche attraverso le opere – è stato quello di essere un rimando a qualcosa che sta molto al di là dei molti servizi, ed è il mistero di Dio, la dimensione specificamente religiosa dell’esistenza.

Il “più in profondità” che continuo a richiamare rimanda qui, al significato religioso della vita religiosa. Sembra una tautologia, e invece è il punto in cui si gioca tutto.

 

1/ – Le radici ritrovate

 

1450234_10151862958008235_730627238_nViene qui in evidenza il problema fondamentale dell’identità della VR, il suo significato nella vita della chiesa e nella storia[1].

Possiamo rifarci anche qui al immagine di Elia o agli israeliti dopo il crollo di Gerusalemme e la deportazione a Babilonia. E’ attraverso la dolorosa esperienza del fallimento e della prova che Elia ritrova se stesso e la sua vocazione nell’incontro con il Dio dei Padri; e ugualmente Israele deportato a Babilonia: sembra tutto finito e invece, proprio nell’esperienza dell’esilio, Israele rilegge la sua storia e ritrova il suo vero volto, la sua vera vocazione di popolo dell’alleanza.

E’ così anche per noi oggi, ed è un invito a leggere maggiormente nella fede – sopra dicevo “lettura sapienziale” – ciò che sta succedendo.

Molte cose della nostra storia pur tanto gloriosa sono al capolinea, ma l’esperienza di povertà che stiamo vivendo, il calo delle vocazioni, il grande impianto delle opere e degli apostolati tradizionali che “non tirano più”, ecc. tutto questo avrà pure qualcosa da dirci! Certamente ci rimanda anche all’impegno per l’aggiornamento. Ma quello che soprattutto c’è dentro come parola di Dio per noi è di riportarci più decisamente alla nostra vera identità: Cristo Gesù e il Vangelo come unica ragione di vita e di “servizio apostolico”.

Lo diciamo così in una parola, ma c’è dentro tutto quello che spiega e dà significato a una consacrazione religiosa.

Purtroppo quando si dice questo, si fa naufragare tutto in una lettura semplicemente devozionale che lascia il tempo che trova. C’è ben altro! c’è dentro una lezione che è “nei fatti”, viene dalla storia, dal Dio che opera nella storia, e riguarda la nostra identità. A me viene sempre più da pensare che proprio per riportarci a sé più in profondità, il Signore consente tutto ciò che sta capitando oggi: egli vuole aiutarci a verificare – noi che siamo entrati nella VR già da tempo e coloro, pochi o tanti, che entrano adesso – che ne è della nostra fede: delle motivazioni profonde che danno ragione della nostra scelta.

Penso che avevamo molto bisogno di questa purificazione noi religiosi, ed è grazia che stia avvenendo, ma è anche una terribile sfida. Istintivamente si rimuovono certe considerazioni. Ma il vero problema della VC d’oggi è come quello di tutti, ed è un problema essenzialmente spirituale, di fede. Un autore qualche anno fa diceva che l’unico problema delle comunità religiose è vedere se sono cristiane. Aveva pienamente ragione!

A me piace dire che la VR apostolica deve ritrovare le sue radici monastiche. Che è poi il significato vero di rifondazione – se si vuol tenere questa termine spesso un po’ fumogeno e non ben definita nei suoi contenuti. Ritornare alle nostre radici, cioè riqualificazione spirituale dei nostri istituti: mi sembra questa la vera sfida, se si vuol tenere questa sigla, forse un po’ abusata.

 

2/ – Il punto dove si gioca tutto

 

Mi ha fatto piacere trovare condivisa questa lettura in una relazione che un mio confratello, il direttore de Il Regno, Lorenzo Prezzi, ha tenuto ai superiori maggiori dei dehoniani nell’ottobre scorso sul tema della “rifondazione”. Prezzi riconduce la crisi della VC a quattro ambiti e fattori:

  • quello dell’identità e della (mancata) definizione teologica della VC;
  • quello dell’ascesi, con il calo della tensione morale e spirituale a cui assistiamo;
  • quello più propriamente storico legato al venir meno delle domande a cui la VC ha sempre risposto attraverso le sue opere;
  • e ultimo un fattore che si pone sull’ orizzonte teologale o del senso di Dio oggi.

 

E’ quest’ultimo il punto che spiega anche il resto:

 

Manca la sufficiente esperienza di Dio che sostenga un progetto di vita e ne garantisca il frutto. E’ una crisi di radicamento e di radicalità. Senza l’esperienza del sacro assoluto, senza l’immersione nelle fonti prime dell’essere, della vita e della verità senza la dimensione mistica della realtà, la vita religiosa si svuota. In altri termini, ciò che manca è la presenza dello Spirito, soffocata dalle consuetudini, dai perbenismi ecclesiastici, dai piccoli interessi personali, dall’insufficienza della stessa teologia.

 

La conferma è in due fatti emblematici:

– il «ricorso sistematico alla competenza sociologica e psicologica», quasi che si possa desumere

da lì ciò che conta  e ciò a cui la VR deve rispondere;

– in secondo luogo, la «mancanza di un giudizio storico che abbia lo spessore della fede».

 

«Davanti all’individualismo della cultura occidentale degli ultimi quattro secoli mancano alla teologia e alla VR coloro che sappiano denunciarne l’insufficienza senza dover ricadere nell’antimodernità ottocentesca».

 

Siamo di nuovo alla “sapienza spirituale” di cui si diceva sopra e che si sarebbe in diritto di attendersi prima di tutto dai religiosi. E in effetti, se è vero che la dimensione religiosa del vivere è ciò che in definitiva decide del cammino delle coscienze nella storia, se è vero che tale dimensione «non potrebbe avere futuro senza la presenza di figure come quelle dei religiosi». si può capire da qui a quale livello si pone la sfida per la VR d’oggi.

3/ – Il congresso sulla vita religiosa – la sfida più difficile

 

Forse potrei inserire qui alcune note sul congresso del novembre scorso. Non per dare una valutazione globale, che non mi compete, ma per ricavare alcune note nella linea del discorso che sto cercando di portare avanti.

Si era partiti bene nei primi due giorni con un riferimento forte alla dimensione teologica e spirituale della consacrazione. Era la prospettiva giusta che avrebbe potuto e dovuto tenere tutto organicamente in unità. Ma poi – mi riferisco al discorso di insieme – è scattato un po’ il solito pregiudizio: si accetta di riconoscere che tutto parte da Cristo e tutto si gioca su di lui, ma poi, dato questo per scontato, l’attenzione si sposta altrove, su ciò che viene dopo e che costituisce – così si continua a pensare – il vero “punto importante”: come rispondere alle sfide che ci pone la società di oggi.

Mi sembra di aver colto proprio questo al congresso: i primi due giorni sono diventati semplicemente introduttivi, perché poi l’attenzione è andata tutta ai problemi, ai vuoti, alle sfide che si pongono nei diversi contesti sociali e culturali di oggi per individuare come la VC può essere risposta e che cosa è chiamata a fare per essere risposta. Un discorso che forse ci è abituale, ma che alla fine risulta troppo più grande di noi e “impossibile”. E difatti ci si è trovati completamente spiazzati e alla fine senza risposte.

Forse ieri, in un contesto di società cristiana, quando era scontato ciò che spettava ai religiosi e le vocazioni erano sovrabbondanti, si poteva anche pensare che il discorso andasse impostato proprio così: riconoscere la situazione e darvi risposta. Ma oggi come si potrebbe pensare che sia questa la strada?

Io rivedo la girandola di problemi, di vuoti e di sfide elencati dai gruppi continentali nel terzo e quarto giorno del congresso e mi domando – così come durante il congresso mi domandavo – a che serve? dove pensiamo di poter arrivare?

E’ chiaro che non può mancare il confronto con la realtà di oggi, perché è nella storia che noi dobbiamo vivere il vangelo ed è all’uomo d’oggi che si rivolge la nostra missione. Ma per offrire che cosa a quest’uomo? qual è la risposta che noi – noi chiesa e noi religiosi – dobbiamo alla società e alla realtà di oggi?

E’ qui che si vede la coscienza che abbiamo di noi stessi e della missione che ci è affidata.

Fa sinceramente paura quando il discorso viene consumato a livello del cambiamento o delle cose “da fare” per rispondere al cambiamento, magari illudendosi che da qui possa venire anche la possibilità di essere attuali. Ci sarebbe da morire di angoscia, se fosse così. Per fortuna quello che ci è chiesto sta molto oltre il cambiamento, e riguarda i fondamenti, ciò che rimane e dà stabilità, e poi fa luce per capire il cambiamento stesso e per assumerlo, senza esserne travolti.

Ciò che ci definisce “sta oltre” ed è di natura transculturale. E’ ciò che ci ha dato e detto Gesù, proprio perché possiamo assumere la vita e tutte le sue vicende nel loro giusto significato. Mi sembra questo ciò che l’uomo d’oggi si aspetta da noi. E’ il problema degli interrogativi e dei significati ultimi, ancora una volta il problema di Dio e di chi è Dio per la vita dell’uomo.

10485211_770346206350052_8963268779917293782_nMa proprio qui – a me sembra – il congresso ha manifestato il suo punto debole,

che è poi, emblematicamente, la debolezza della VR d’oggi.

Si è andati da soli, troppo soli, al confronto con le sfide e i problemi di oggi,

lasciando in ombra, nel momento in cui questo doveva emergere nella sua vera forza,

l’unica cosa di cui disponiamo e di cui c’è bisogno: Cristo Gesù e il vangelo, la potenza del Dio che salva.

Forse esagero, ma a me sembra che l’appuntamento è mancato proprio lì dove avrebbe dovuto esserci, lì dover avrebbe dovuto esprimersi la potenza di fede e di penetrazione anche teologica e culturale che si è in diritto di attendersi dai religiosi: la dimensione teologica e spirituale.

E’ urgente riportare a sintesi le molte cose di cui si parla e la sintesi è qui: superare la frattura tra il discorso su Cristo e il resto (il confronto con i problemi e le sfide poste dalla società attuale). E’ un problema teologico e culturale, un problema di mentalità prima che di comportamento. Neppure dunque il solito problema dell’unità di vita, ma qualcosa di più profondo e globale, appunto un problema di mentalità e di impostazione di vita.

La VR d’oggi ha bisogno di santi e di profeti capaci di far vedere, senza naufragare in uno spiritualismo fuori della storia, che Gesù Cristo e il patrimonio spirituale di cui la chiesa dispone, sono la riposta. Lo sono certamente a un livello loro proprio, ma forse proprio questo bisognerebbe finalmente saper decidere: lasciare agli altri ciò che è degli altri, e noi accettare – proprio oggi nella società secolare e post-moderna – la sfida più difficile: quella dei significati ultimi, la sfida religiosa.