Famiglia Camilliana Laica – Il messaggio di Rosabianca Carpene

Rosabianca Carpene
Presidente FCL Provincia nord-italiana
Verona, 11 novembre 2020

Cari amici e amiche della Famiglia camilliana laica della provincia nord-italiana, e assistenti spirituali

Nel tempo faticoso che stiamo vivendo, carico di incertezza e insieme di paura, sento il desiderio di mantenere e coltivare tra noi un filo che ci tenga uniti, nonostante tutto.

Siamo nella impossibilità di incontrarci, ma possiamo e desideriamo sentirci parte di una grande famiglia spirituale, quale è la Famiglia camilliana laica, nei nostri gruppi, nella nostra provincia nord-italiana, ma, insieme, con tutta la “grande famiglia camilliana”.
Una grande famiglia spirituale, che anche in questo frangente cerca di vivere e testimoniare la misericordia del Signore, nell’ impegno di vita quotidiana.

Mi sembra che un pericolo presente oggi è quello di sentirsi soli, forse isolati, che per qualcuno di noi può essere anche una realtà, dovuto a diverse circostanze.

Nella FCL, almeno nella nostra esperienza italiana, la nostra “missione” di laici camilliani è vissuta quasi totalmente nel volontariato: in ospedale, nelle parrocchie, nelle case dei malati.  Alcuni tra noi sono ministri della comunione, accanto ai malati in modo particolare, non solo a titolo personale, ma a nome della comunità ecclesiale stessa, che invia e si fa presente, vicina, attraverso i ministri per essere di conforto alle tante persone che sentono il peso di non poter partecipare alla vita comunitaria.

La pandemia che stiamo ancora vivendo ha privato molte persone, molte famiglie, del dono e della consolazione della presenza di chi si recava presso di loro a visitarli, stava insieme per un po’ di tempo, pregando insieme, scambiandosi confidenze e aiuto. Infatti, a causa della diffusione della pandemia, fin dall’inizio sono state chiuse alle visite, anche dei parenti, le strutture sanitarie, particolarmente quelle che ospitano persone anziane e disabili.

Una riflessione sento fare da diverse parti; il senso di smarrimento a causa della solitudine, nella difficoltà di comunicare, pur nella giusta preoccupazione di non far ammalare le persone ospiti della struttura, ha creato e aumentato problemi. Ci siamo trovati, almeno all’inizio, quasi paralizzati, ognuno nella propria casa, con le risorse delle quali disponeva; nelle case di riposo i parenti non sono più potuti entrare, e si è cercato di ovviare, con difficoltà, alla mancanza di contatto fisico, di poter accarezzare la persona, attraverso videochiamate, non sempre possibili.

Dopo alcuni mesi durante i quali si pensava di essere usciti dalla pandemia, ora siamo nuovamente immersi in una situazione che alcuni definiscono grave, e sappiamo tutti le notizie che riceviamo ogni giorno.

Stiamo vivendo un tempo di “crisi”: possiamo cogliere qualche aspetto di positività anche in questo tempo? E’ difficile pensarlo, ma mi sembra che questo tempo così difficile e pesante ci mette nella condizione, ci costringe a cambiare la nostra vita.

Pensiamo solo al doverci fermare. Fino a poco prima della “chiusura totale” in primavera scorsa, eravamo, chi più chi meno, carichi di impegni, di cose da fare, avevamo quasi tutto programmato per ogni giornata. E ci siamo dovuti fermare. E il dover fermarci, può anche aver voluto dirci di imparare a cogliere l’opportunità di imparare a stare con noi stessi, anche attraverso la riflessione sulla nostra vita di credenti. Siamo Chiesa, che cosa ci dice il nostro essere chiesa in questa esperienza? Il Vangelo del Regno quali parole fa risuonare in noi?

Di fronte a tanta disperazione, cogliamo dei segni di speranza in noi e attorno a noi? Queste domande me le sono fatte, cerco anche di guardarmi attorno, e di cogliere piccoli e grandi segni e gesti di speranza compiuti da chi è impegnato ogni giorno in prima linea, da chi mette a repentaglio la propria vita per aiutare, consolare, curare un malato, un anziano solo, una famiglia in difficoltà. Da quanti, nel silenzio e nella semplicità, sanno essere “prossimi”.

C’è tanta ricerca, negli uomini e nelle donne di oggi, una ricerca di senso della propria vita, che magari rimane sotto traccia, quello che si evidenzia pare un vivere giorno per giorno.  

Ma pensiamo anche ai giovani, alle problematiche che stanno vivendo, per l’incertezza del futuro davanti a loro. Che significato riescono a dare alla propria vita?

Non intendo fare una predica, solo porgervi, condividere con voi alcuni pensieri, che ci diano anche il senso del nostro camminare oggi, nella situazione che stiamo vivendo.

Mons. Olivero, Vescovo di Pinerolo, è stato malato di Covid, molto grave, e poi è guarito; A chi gli ha chiesto cosa provasse nei momenti più difficili, quando pensava di morire:

Che sensazioni provava esattamente? Chiede l’intervistatore.

“Come se tutto stesse evaporando, tutte le cose, tutti i ruoli, tutto. Sa cosa restava?  La fiducia in Dio e le relazioni costruite. Ecco io ero fatto solo di queste due cose. Erano due cose salde, erano me”.

Con tutto questo, cogliendo proprio la testimonianza di chi è passato attraverso il crogiuolo della malattia cogliamo come, in fondo, ciò che resta è l’Amore. Coltivare la fiducia nel Signore, come persone credenti, in questo tempo, e alimentare, coltivare nelle nostre comunità la fiducia nel Signore, anche attraverso la testimonianza della vita, i nostri gesti. Credo che di questo ci sia un grande bisogno, anche in questo nostro tempo. Non riusciamo ad incontrarci è vero, ma non viene meno la nostra appartenenza alla FCL.

Portiamo nel cuore e nella preghiera, ogni giorno, i malati, tutte le persone sofferenti, in modo particolare quanti, alla sofferenza, si aggiunge la solitudine, il sentirsi abbandonati.                           Sentiamoci uniti tra di noi, nella comunione che nasce nella fraternità, e con tutte le persone, laici e religiosi, e religiose, che sono impegnati quotidianamente e spesso in situazioni difficili e di povertà, di mancanza di mezzi di cura.  Abbiamo presenti tutti coloro che non possono accedere alle cure, in diverse parti del mondo.    E i familiari delle persone nelle RSA e in altre strutture, che non possono stare accanto ai loro cari, anziani o disabili, anche giovani, ed è una sofferenza che si aggiunge ad altra sofferenza.

Vorrei riportare qualche brano di un articolo di “Avvenire” di Marina Corradi:

…” Quando si dice, forse per rassicurarci, «Muoiono solo i vecchi», si dice che la pandemia sta falciando il tessuto più antico e profondo del Paese, deposito di memorie e di tesori. Ma, ribatte qualcuno, si sa bene che a una certa età moriamo: dunque, siamo nella natura delle cose. Non del tutto, in verità. Proviamo a guardare da vicino a questa feroce mietitura.

Quanti, stanno morendo soli. Una febbre improvvisa, la sirena dell’ambulanza che brusca tace sotto il portone di casa, passi veloci sulle scale. E bisogna andare: senza un figlio accanto, senza nessuno. Non si è mai morti così in Italia da tanto tempo, se non in remote epidemie. Immaginate dei coniugi da cinquant’anni assieme, separati in un istante: ‘No, signora, lei deve restare’. Un’anziana donna immobile sulla porta, a guardare la sua vita che se ne va. E, a quello dei due che parte, quanto gli corre il cuore nel petto? Facce ignote, modi gentili ma anonimi, e medici e infermieri bardati, irriconoscibili. Forse ne cercano gli occhi i nostri vecchi, dalla barella, e forse riescono a incontrarli, e quegli occhi li guardano con umanità.

Ma tanti sono i pazienti, e gravi, e i medici devono andare. I bambini degli anni Trenta se ne restano con nelle mani un telefonino che sanno usare male, e solo finché hanno la forza di parlare. Morire soli, è la straziante sorte che tocca di nuovo, in questi giorni, a una generazione. Incredibilmente, nel mondo iperconnesso, morire soli. Ma dall’altra parte della città, pensiamoci, soli restano poi i sopravvissuti di quelle antiche coppie. E forse rimanere a quell’età senza il compagno o la compagna di una vita intera, è peggio che morire. Tanto inestricabili ormai le vite, e la voce, e le espressioni, e il respiro nel sonno dell’altro, come parte di se stessi: così che, venendo quello a mancare, ci si sente mutilati. «Muoiono solo i vecchi», se ha ragione quel professore… E, sì, da vecchi, comunque, si muore: ma quanta pena invisibile e cocente nella partenza simultanea di tanti. Facce solcate dal tempo, con tutto da lasciare, di ciò che è più caro… Resteranno, nelle nostre città, tante case vuote. Non ci vogliono chiacchiere, ma rispetto e solidarietà concreta e una preghiera per ognuno di quei ‘vecchi’ che se ne vanno soli, o soli rimangono. Una preghiera per ognuno di quei quattrocento al giorno, che vanno.

E me ne viene in mente una assolutamente laica, che è il verso di una canzone di Roberto Vecchioni: ‘Noi ci ritroveremo ancora insieme, ma molte, molte lune in là…’ E non so fra quante lune, o se invece molto presto, ma: voi vi ritroverete ancora insieme. Come ci è promesso, in Cristo. Per sempre, come vi siete promessi voi, in un giorno lontano. Sono parole di speranza, da non dimenticare.

Come parole di speranza sono quelle pronunciate da Papa Francesco il 27 marzo scorso, nella piazza San Pietro :  Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale. Abbiamo un’àncora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore. In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi. Il Signore ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare la grazia che ci abita. Non spegniamo la fiammella smorta (cfr Is 42,3), che mai si ammala, e lasciamo che riaccenda la speranza”. 

Un saluto affettuoso a ciascuno di voi, alle vostre famiglie, agli amici camilliani, rimaniamo uniti nella preghiera,