Fedeltà creativa al carisma camilliano

di Angelo Brusco

Capriate, 28.02.2018

Nello svolgere il tema  che mi è stato proposto ho scelto un genere letterario che renda più viva la partecipazione degli ascoltatori e, di conseguenza, meno pesante l’ascolto. Affidandomi all’immaginazione, mi è venuto spontaneo pensare all’incontro di un piccolo gruppo di religiosi e di due laici legati all’Ordine camilliano, senza affidare ad essi particolari caratteristiche personali. Attraverso i loro interventi, ho cercato di dare espressione alle tante voci che circolano nei riguardi del tema propostomi.

L’animatore del gruppo, P. Girolamo, introdusse rapidamente l’incontro, indicando il tema che sarebbe stato messo a discussione:  “Fedeltà creativa al carisma camilliano”. Richiamandosi alla metodologia degli insegnanti scolastici, egli si è attardato un momento all’explicatio terminorum, alla spiegazione dei termini.

A livello lessicale, egli disse, il primo documento ufficiale che ha usato l’espressione fedeltà creativa, riferendola al carisma, è stata l’Esortazione Apostolica Vita Consecrata di Giovanni Paolo II (n. 37). Fedeltà creativa traduce in forma nuova la  parola “aggiornamento”, che risale a metà del secolo scorso. Fu, infatti, coniata il 27 giugno 1949, durante la sessione preparatoria del Congresso internazionale degli Stati di Perfezione celebrato a Roma nel dicembre 1950. Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II la fecero propria. “Fedeltà creativa” indica, quindi, la dinamicità del carisma, chiamato ad esprimersi secondo sempre nuove modalità, richieste dai cambiamenti socio-culturali, etici e religiosi, e fa pensare allo Spirito: in movimento, dinamico, sempre nuovo. Non si tratta solo di una ripresa della forma primitiva del carisma, ma anche di una sua proiezione nel presente, con uno sguardo al futuro, di una continuità del carisma nella discontinuità delle situazioni storiche.

Dopo una breve pausa aggiunse: “Come tutti gli altri Ordine e Congregazioni, anche il nostro è chiamato, per dirla con un sociologo, a tenere riunite radici e ali, cioè a coniugare armoniosamente tradizione e novità. Secondo questo autore, le radici simbolizzano la tradizione, mentre le ali parlano di innovazione, di progettualità. Le radici senza le ali portano al conservatorismo e al mantenimento dello status quo, le ali senza le radici conducono all’utopia, cioè in nessun luogo”.

“Per quanto riguarda il termine carisma, egli disse guardando il piccolo gruppo, credo che non occorrano particolari spiegazioni”. Veramente, intervenne Beatrice, una giovane donna della Famiglia camilliana laica, a me farebbe piacere rivedere il significato di questo termine, perché nei nostri incontri non c’è sempre uniformità di vedute su questa parola”.

Girolamo fece cenno a p. Elpidio il quale non esitò ad intervenire, scandendo le parole. “I teologi, egli disse, sono concordi nel ritenere il carisma come “una presenza e manifestazione gratuita, libera e vittoriosa dello Spirito Santo, considerato come principio vivente d’unità e insieme di pluralità, nell’esistenza concreta e storica della persona singola e della comunità, in vista della costruzione della chiesa, intesa come comunione spirituale dei fedeli nella loro diversità comunionale. Dopo questo enunciato preciso ma un po’ complesso, egli continuò: “Tra i carismi con i quali lo Spirito Santo anima e guida la Chiesa, occupa un posto speciale la vita consacrata. Essa è un dono del Signore, finalizzato ad accendere e sostenere nella comunità ecclesiale il fervore della carità e la tensione verso la santità. Il riconoscimento esplicito della vita religiosa come carisma avviene solo dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II. L’applicazione alla vita religiosa del termine carisma, però, si verifica in maniera esplicita solo nella letteratura post-conciliare. E’ Paolo VI a parlarne, per primo, nel l971.

            Il carisma della vita consacrata si esprime attraverso modalità concrete molto diversificate. Numerose, infatti, sono le maniere d’incarnare il carisma comune dei consigli evangelici. Tale varietà carismatica consente di manifestare in maniera più completa la ricchezza della persona e dell’azione di Gesù Cristo e di cooperare più efficacemente alla missione della Chiesa. E’ questa la finalità cui tende la varietà degli Istituti religiosi. I loro Fondatori sono, quindi, portatori di un particolare dono o carisma che poi trasmettono alle loro congregazioni. Un dono descritto dal documento Mutuae Relationes, come “un’esperienza dello Spirito, trasmessa ai propri discepoli per essere da questi vissuta, custodita, approfondita e costantemente sviluppata in sintonia con il Corpo di Cristo in perenne crescita” (n.11). Il carisma del Fondatore è un dono: “personale in quanto trasforma la persona del Fondatore, preparandolo ad una particolare vocazione e missione nella chiesa; collettivo-comunitario per il fatto che coinvolge più persone a realizzare storicamente il medesimo progetto divino; e infine ecclesiale, perché tramite il fondatore e la sua comunità è offerto all’intera chiesa per la sua dinamica edificazione”.

Il carisma che Camillo ha ricevuto da Dio è indicato nella Costituzione dell’Ordine. In essa viene detto che è un dono che il nostro Istituto ha ricevuto da Dio, tramite la mediazione di San Camillo, di testimoniare al mondo l’amore sempre presente che Cristo porta verso gli infermi (C 1). Le parole della Costituzione riassumono appropriatamente quanto il santo ha vissuto e realizzato durante il suo percorso esistenziale.

Quando P. Elpidio sembrava aver esaurito il suo intervento, prese la parola P. Alfonso. “Solitamente, egli disse, quando si parla di fedeltà creativa al carisma camilliano ci si riferisce alle modalità che il ministero è chiamato ad assumere per rispondere ai nuovi bisogni della gente. Questa tendenza non rischia di ridurre l’influenza del carisma solo ad un aspetto della vita del religioso camilliano, cioè alla sua attività ministeriale, come se esso non fosse chiamato a incidere sul resto della sua persona?

 

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