Fratel Giulio Cesare Terzago: un angelo venuto da lontano

di Luciana Mellone

Un angelo venuto da lontano. Così lo definisce p. Regi.

Le informazioni che abbiamo sulla figura di Fr. Terzago ci giungono dal camilliano padre Domenico Regi che dedica a lui un intero capo delle sue Memorie Historiche del Venerabile p. Camillo de Lellis e de’ suoi Chierici Regolari Ministri degli Infermi del 1676.

Nato nel 1582 dalla omonima nobile famiglia milanese. All’età di venti anni si risolse di entrare nell’Ordine dei Ministri degli Infermi, il cui operato di misericordia verso i poveri ed infermi aveva avuto modo di osservare nella città di Milano. Ricevuto nell’Ordine dallo stesso San Camillo, pronunciò la professione religiosa il 24 ottobre del 1604.

Modello esemplare per l’infaticabile impegno mostrato nel suo ufficio di capo infermiere che praticò in vari ospedali della penisola durante le pestilenze del XVII secolo.

Quando nel 1624 scoppiò la peste a Palermo, il Viceré Principe Filiberto chiamò i religiosi camilliani ad assistere gli appestati nei lazzaretti della città. Uno tra i primi a distinguersi per la sua dedizione, bravura ed esperienza fu proprio Fratel Terzago con incarico di capo infermiere, ossia responsabile del servizio assistenziale. Lo troviamo presso il lazzaretto di S. Lucia

Il Regi ci narra che “per poter attendere a tutti i bisogni con sollecitudine, si serviva di un giumento, per giungere più fresco, ad ordinare, e à ben servire (…) faceva infinite opere di carità. Spesso era visto pigliare le creature in braccio, che languendo aspettavano la morte. Faceva (loro) le minestre e le imboccava, che pareva le risuscitasse da morte a vita”

Dopo quattro mesi di questo incessante lavoro si ammalò, ma di tempra forte ne uscì incolume. La sua opera doveva continuare.

La peste del 1630 a Milano mise ancora una volta a dura prova la resistenza e la dedizione dei camilliani che comunque, avendo abbracciato il quarto voto di assistenza agli appestati, con gioia chiedevano di poter essere assegnati dai loro superiori a tale servizio considerandolo un privilegio.

Fratel Terzago è questa volta presso l’Ospedale Ca’ Granda di Milano. I primi casi di peste si ebbero con l’arrivo dei soldati Lanzichenecchi nel 1629. Il contagio si diffuse rapidamente. Le vittime raggiunsero un picco di quattrocento al giorno, mancava il personale per la necessaria assistenza (…) al Lazzaretto di Porta Orientale, mancando fra i laici chi fosse disposto ad assumersene la responsabilità, furono preposti due Cappuccini, mentre la parte più gravosa del servizio fu assunta dai Camilliani.

Secondo alcune ipotesi prima del camilliano, p. Vanti nel suo libro “I Camilliani, il Manzoni e la peste del 1630 ripresa nello studio di Maurizio de Filippis e Elisabetta Zanarotti Tiranini “ San Camillo de Lellis e l’Ordine dei Ministri degli Infermi nella storia della Chiesa di Milano”,  questi ultimi due autori in un capitolo su “I Crociferi a Milano” dedicano ampio spazio alla questione, arrivando ad identificare nel “buon frate” manzoniano, che il romanzo cita come il primo che nell’autunno del 1629 annuncia l’arrivo del contagio a Milano, appunto Fratel Terzago.

Tale tesi, sebbene non avvalorata da stringente documentazione storica, risulta ampiamente plausibile, in quanto all’epoca i Ministri degli Infermi, seguaci di San Camillo, facevano voto speciale di dedicarsi al perenne servizio dei malati anche colpiti da peste e fratel Terzago, forte dell’esperienza maturata a Palermo, risulta quasi sicuramente poter essere abile a riconoscere i sintomi della terribile malattia prima di altri, anche perché lo stesso frate, in tale precedente esperienza, aveva contratto il morbo e ne era guarito.

Ed è probabilmente grazie a tale occhio clinico acquisito sul campo che Fratel Terzago fu in grado di effettuare una diagnosi precoce nel primo infetto della città, quel soldato, Lovato che anche Manzoni cita al cap. XXXI dei Promessi Sposi, ricavando la vicenda attraverso la sua fonte, il medico Alessandro Tadino, che nel suo “Ragguaglio della Gran Peste” del (1648), cita fratel Terzago per nome, omettendone però l’appartenenza ai camilliani.

Il Manzoni non disponeva delle memorie delle origini crocifere pubblicate nel 1676 dal p. Domenico Girolamo Regi, e in tutto il suo romanzo fa riferimento sempre all’Ordine dei Francescani, per cui la tendenza successiva è stata sempre quella di fare riferimento a tale Ordine per il personaggio di Fra Cristoforo. Tale ipotesi potrebbe essere ulteriormente avvalorata dalla rilevante differenza delle date di nascita dei due Ordini Francescano e Camilliano all’epoca della stesura del romanzo, plurisecolare il primo e molto più recente il secondo con conseguente differenza di documentazione storica.

Fratel Terzago, coerente con tutta la sua vita, dopo aver vissuto e lavorato alla Ca’Granda e presso il lazzaretto di Santa Barnaba, fu sopraffatto ancora una volta dal contagio, ma questa volta trovò la morte nell’agosto del 1630 all’età di 48 anni così come comunicato dai Provinciali negli atti di consulta del giorno 5 settembre 1630: “la morte del Fratel Giulio Cesare Terzago, dentro il Lazzaretto di Milano, in servizio di appestati”.