La Task Force Camilliana

CTF_logo_nuovoTratto da libro M.Pavanello, V. Braga – Le quaglie e il pane del cielo

Tra i diversi soggetti operanti in Kenya ci sembra significativo segnalare la presenza dei Padri camilliani. Soprattutto per un’attenzione in linea con quella che stiamo presentando in queste pagine, anche se essa ha trovato realizzazione solo sulle rive dell’Oceano Indiano.

La Camillian Task Force (CTF) è nata nel 1994 in risposta a un appello di padre Angelo Brusco (psicologo di fama internazionale e allora Superiore Generale dell’Ordine dei Camilliani).

L’idea iniziale era di creare una task force che intervenisse direttamente e tempestivamente nei disastri naturale e provocati dall’uomo. Da quel momento sono oltre 30 le missioni della CTF. Terremoti, tsunami, cicloni, tifoni ma anche siccità sono stati i principali scenari di intervento in cui i Camilliani si sono misurati in Africa, Asia, America e Europa. La CTF non è una ONG e lavora principalmente con la Chiesa locale, la Caritas e le ONG del territorio. Il team che opera è tutto locale, mentre l’ufficio centrale (con sede a Roma) svolge il ruolo di supervisione in una prospettiva internazionale.

Organizzazione e crescita della resilienza

La Camillian Task Force Kenya è impegnata in un’azione di soccorso e riabilitazione a Wajir, nel nord est del Kenya, dal 2011.

La prima fase dell’intervento ha avuto come focus principale la risposta ai bisogni immediati della popolazione colpita profondamente dalla lunga siccità. Tra le priorità c’è stata quella medica (clinica mobile ed educazione sanitaria) e quella nutrizionale mirata ai bambini under 5 e degli anziani over 60.

La seconda fase è stata finalizzata ad attività di riabilitazione in tre principali aree. Una relativa a un programma sanitario basato sulla comunità; un’altra orientata alla sicurezza alimentare; l’ultima concentrata sull’acquisizione di nozioni igieniche. Il metodo usato è stato quello standard in casi simili: impostare tutto sull’organizzazione della comunità e sulla crescita della capacità di resilienza.

La terza fase (agosto 2013-luglio 2015) si sta concentrando sul rafforzamento e sull’aumento della capacità di produzione popolare, sul miglioramento delle conoscenze e delle abilità degli operatori sanitari di base e sull’autonomia delle popolazioni. Questo porterà benefici a 25 agricoltori e a 120 operatori sanitari in 7 villaggi.

Il Programma di Sicurezza Alimentare è una risposta, nella zona del Wajir Central, al problema di mancanza di risorse e di dipendenza degli aiuti. Le persone hanno pensato di produrre cibo da sole attraverso un uso intelligente delle serre (green house): ne sono state create dieci in otto villaggi. I prodotti alimentari, destinati sia all’autoconsumo sia al mercato, hanno creato un’alternativa sostenibile alla tradizionale pastorizia.

A fronte dei problemi di salute – che in buona misura hanno segnato l’incremento della mortalità – le comunità sono state supportate attraverso la formazione di animatori comunitari.

Due villaggi hanno raggiunto l’obiettivo di averne ben 120 dopo un anno di formazione. Ciascuno di loro monitora 20 famiglie.

Il punto di vista dell’operatore

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Marco Iazzolino – Nepal 2105

«La novità dell’approccio iniziale da parte della CTF – racconta, da noi interpellato, Marco Iazzolino, collaboratore del progetto – è stata quella di insistere sulla necessità di leggere insieme i bisogni e condividere il progetto per rendere la popolazione locale protagonista nel cammino di liberazione dal bisogno. L’obiettivo è stato dunque quello di facilitare i processi partecipativi sia nell’individuazione delle priorità che nell’implementazione del progetto stesso.»

Una collaborazione quasi immediata, visto che “socializzare i problemi e le soluzioni è per questo popolo un modus vivendi. Così, dopo 16 anni circa (cioè dall’inizio della crisi), le comunità locali hanno avuto la possibilità di prendere in mano la loro vita gestendo un pozzo, una serra, o il programma di salute comunitaria.

«Il capo di uno dei villaggi – continua Iazzolino – ci ha detto che per la prima volta nella sua vita si era sentito ascoltato e pienamente partecipe delle scelte.»

Scelte sempre condivise con tutti gli attori: la Caritas, la Chiesa locale, i Camilliani e le Ministre degli Infermi (Camilliane), oltre alle comunità locali.

Coinvolte sono state pure sia le amministrazioni pubbliche sia i processi di governance non formale (i capi villaggio, le associazioni locali…). Tutti si sono mostrati convinti e curiosi per questo singolare approccio di lavoro non assistenzialistico.

Insieme alle luci non mancano però anche le ombre, come testimonia ancora il nostro interlocutore: «I media purtroppo – dopo una prima fase legata all’emergenza, molto mediatizzata anche per i continui appelli di Benedetto XVI – hanno praticamente abbandonato il campo. L’unica lodevole eccezione è stata Telepace che ha realizzato un documentario ad hoc incentrato sul nostro progetto».

Un progetto certamente replicabile, una specie di format con elementi comuni: la centralità della comunità locale, la ricerca di percorsi di autonomia, l’approccio integrato socio-sanitario con pure sorprendenti ricadute di dialogo interconfessionale “pratico”.