Martiri della Carità: una testimonianza esemplare del quarto voto camilliano

Il 25 Maggio l’Ordine camilliano ricorda i circa 300 confratelli che hanno donato la propria vita al servizio degli ammalati.

I religiosi Camilliani Martiri della Carità nel corso dei quattro secoli di vita dell’Ordine sono circa 300, e di essi si hanno i nomi di soli 252, molti sono stati quelli che hanno sacrificato la propria vita e sono Anonimi per la drammaticità dei momenti in cui avvennero i fatti, che certamente non davano spazio a relazioni cronachistiche.

Come ogni anno i nostri pensieri si rivolgono a chi, nei secoli scorsi e in questo periodo di pandemia, ha sacrificato la propria vita per curare ed assistere i malati anche colpiti da pestilenze: “etiam pestis incesserit”.

Di seguito vogliamo ricordare i più rappresentativi Martiri della Carità dell’Ordine camilliano

Fratel Annibale MONTAGNOLI

Fece parte del gruppo di otto camilliani esortati da papa Clemente VIII – 2 giugno 1595 – per andare al seguito di una spedizione militare contro i Turchi in Ungheria (Strigonia), per soccorrere i malati e i feriti. Il gruppo partì alla fine dello stesso mese, da Trento, ivi confortato da Camillo – che avrebbe desiderato partire anche lui – con adeguate istruzioni e raccomandazioni anche scritte. Tutti svolsero il loro compito in modo lodevole. Fr. Annibale, sfinito dalle fatiche per l’assistenza prestata ai militari contagiati e feriti, soprattutto durante la battaglia di Strigonia, spirò, felicemente, su di un carriaggio, tra le braccia di un certo religioso agostiniano, nei pressi di Castel Nuovo di Ungheria, in riva al Danubio, il 4 ottobre 1595.

Fratel Olimpio NOFRI

Nel 1630 il “morbo asiatico” assediava molte città d’Italia. Il Manzoni ci descrive gli orrori della peste di Milano, nella quale persero la vita gran parte dei sessanta “Ministri degli Infermi” che dimoravano in quella città. Nella sola città di Milano perirono, in quella circostanza, 17 seguaci di san Camillo. Tra loro ricordiamo fratel Olimpo Nofri, tanto caro al Fondatore, che lo descrisse come «ottimo nel servizio dei poveri». L’eroico religioso dopo aver consumate le sue forze nell’assistenza degli appestati, scorgendosi egli stesso affetto dal morbo, perché i Confratelli, per prendersi cura di lui, non fossero distolti dal servire gli altri, si trascinò, dopo aver ricevuto i sacramenti, fuori di Porta Ludovica al cimitero, per attendere la morte.

Padre Pietro PELLICCIONI (1579-1625)

Nato nel 1579 da una famiglia di buon ceto sociale, fu accolto nell’Ordine da san Camillo il 25 dicembre 1595 ed emise la professione religiosa l’8 gennaio 1598. Prima di entrare nell’Ordine aveva studiato presso il collegio Brera dei Gesuiti, a Milano. Dopo la professione dei voti religiosi, Camillo gli fece approfondire gli studi di teologia, presso il Collegio Romano. Possedeva quindi una notevole cultura, un eloquio spigliato ed una brillante capacità di scrivere. Aveva spontanea dignità di portamento, socievolezza, la tipica dinamicità dei milanesi, anche nel ministero, apprezzata dal Fondatore. Destinato alla comunità camilliana di Genova dopo il VII capitolo generale, ottenne di assistere i soldati spagnoli nell’isolamento marittimo al largo di Savona. Tali soldati – in quarantena perché colpiti da tifo castrense, male contagioso, quasi appestati – mancavano di tutto. Egli si dedicò alla loro assistenza senza risparmio insieme ad altri camilliani che animava con l’esempio e la parola. Ben presto però fu contagiato e, trasportato a Genova, spirò il 22 agosto 1625, a 46 anni di età

Padre Francesco AMADIO

Nato da famiglia distinta, entrò nell’Ordine il 22 aprile 1590, professò il 15 marzo 1592 e fu ordinato sacerdote nel 1594. Superiore in varie comunità camilliane, è stato, tra l’altro, fondatore e primo superiore della casa di Mantova. Nonostante questi incarichi di prestigio, si comportò sempre con modestia, prudenza e carità. Ha partecipato molto attivamente alla vita dell’Ordine ed è stato indicato da san Camillo nella terna dei candidati al generalato dopo il mandato di padre Oppertis. È morto a Mantova, in concetto di santità, il 26 luglio 1629 quando era ancora provinciale e prefetto di Bologna.

Padre Giovanni COQUEREL (1575-1630)

Originario dell’Artois (Francia), entrò nell’Ordine a 26 anni, ma aveva già prestato servizio in ospedale. Professò a Firenze il 16 ottobre 1602. Fu prefetto di varie comunità, tra cui quella di Mantova che contava una ventina di religiosi. Fu provinciale di Bologna, incarico a lui affidato nel 1629, dopo la morte di padre Amadio e pochi mesi prima della sua morte. Per l’assistenza ai malati nelle case private, si volle impegnare lui personalmente, supplendo per quanto poteva ai vari bisogni. Del resto «medici e barbieri erano quasi tutti morti e i pochi che vi erano non volevano andare dagli ammalati; e quello che era peggio che i preti, dei quali era rimasto anco pochissimo numero, sfuggivano li poveri morienti, (e di) prestarli li soliti sacramenti, dove che moltissimi mancavano di confessione e comunione» (Capilupi, 541). Nella sua dedizione senza risparmio fu contagiato e morì “di peste atroce”, il 6 aprile 1630.

Padre Giovanni Battista MARAPODIO (1590-1630)

Entrato nell’Ordine camilliano intorno ai sedici anni, nel 1606, fu accolto dallo stesso san Camillo, a Messina. Professò il giorno di Natale del 1608. Si distinse nello svolgimento del nostro ministero che compiva “con sviscerato amore” (Regi) sull’esempio del Fondatore che cercava di imitare al meglio delle sue capacità. Le sue grandi virtù di prudenza, carità e osservanza delle Regole furono apprezzate dai superiori e dal popolo in Borgonovo Valtidone (Piacenza) ove era superiore della comunità composta da cinque religiosi, quando scoppiò la peste del 1630, con ogni probabilità, trasmessa dai mercanti di Genova e Milano dove già infuriava e che venivano di solito in quella zona a far provviste di beni da smerciare in città. Padre Marapodio sin dall’inizio dell’epidemia, dopo una fervida esortazione ai confratelli, si dedicò totalmente al ministero precedendo tutti con l’esempio e il fervore, ansioso di raggiungere ogni infermo e amministrargli per tempo i sacramenti. Raggiungeva anche le frazioni e cascinali più lontani dove non c’era chi portasse soccorso. Così pure i confratelli con i quali divideva il lavoro, preordinandolo ogni giorno la sera avanti o il mattino per tempo. Morti, ammalati o fuggiti i membri del clero secolare, durante il periodo di maggior virulenza, lui percorreva tutto il paese in cotta e stola munito dell’olio degl’infermi e dell’Eucarestia e, di casa in casa, dava disposizioni – come, ad esempio, seppellire i morti e disinfettare casa e masserizie – e provvedeva ai bisogni più gravi. Quando si ammalò, cominciò ad avvertire anche in se stesso i sintomi del male. Ciò nonostante, volle compiere, con estremo sforzo, ancora una visita per il paese. Tornato a casa consumò l’Eucarestia, forse pensando che anche gli altri due confratelli fossero già morti, s’inginocchiò in un banco, ai piedi dell’altare per pregare. Quando rientrò padre Pinola con un confratello, lo trovò già morto, curvo su se stesso. Era il 10 settembre 1630. Aveva solo quarant’anni. Venne seppellito nella chiesa dell’Immacolata. Non appena si sparse la notizia della sua morte, ci fu grande sgomento tra la popolazione per la perdita di un così zelante aiuto e conforto proprio nel momento più difficoltoso. I cittadini del Borgo non dimenticarono il suo zelo e, cessata la peste, i pochi superstiti vollero fissare la sua memoria con un dipinto.

Fratel Giacomo GIACOPETTI (1591-1657)

Nato a Macerata il 25 novembre 1591, venne a Roma, per motivo di studio, intorno al 1608. Frequentò per qualche anno l’ospedale di Santo Spirito per far pratica in medicina e chirurgia. Ivi conobbe san Camillo, i confratelli e la loro opera: ne fu subito attratto. Chiese ed ottenne di entrare nell’Ordine nel 1612. Nonostante i suoi studi umanistici e filosofici oltre che di medicina, scelse lo status di religioso fratello. Fu inviato a Napoli per il noviziato e, dopo la professione, richiamato a Roma il 30 marzo 1614. Qui assistette il Fondatore – che venerava e seguiva come modello – durante gli ultimi mesi di vita e durante la sua agonia. L’ospedale del Pammatone di Genova fu il luogo preferito del suo lavoro. Ivi, eletto capo infermiere e direttore generale dell’andamento del servizio, con la collaborazione di altri confratelli, «dirigeva tutto, sorvegliava tutto, provvedeva a tutto: e or qua or là lo si vedeva sempre occupato a consolare con dolci parole gli afflitti, a incoraggiare colle beate speranze della fede i timorosi, ad animare tutti alla pazienza. Era per tutti qual tenera madre che vicino al moribondo figliolo impiega tutti gli affetti del suo cuore, le potenze dell’anima affin di trovare sempre qualche nuovo mezzo per lenire le sue pene. E ciò con generosità, prontezza, spontaneità, ilarità, in una parola con cuore; per cui tutti lo riamavano ed accettavano volentieri i consigli, gli avvisi, le ammonizioni che dava loro pel maggior bene delle loro anime. È grande il numero delle conversioni che ottenne colle sue animate esortazioni… e quasi sempre otteneva l’intento che con esse proponevasi». Si prodigò nell’assistenza agli appestati per tutto il 1656 e metà del 1657 finché, il 10 luglio di quell’anno, fu colpito anche lui dalla peste. Ottenuto il trasferimento dalla sua stanza all’infermeria comune, morì, come aveva predetto, il 14 luglio, anniversario della morte del Fondatore: aveva 65 anni.

Padre Sebastiano BIANCHI (1608-1672)

Di famiglia nobile, ha studiato all’università di Bologna intorno all’anno 1631-1632. Entrò nell’Ordine camilliano a Roma, il 28 giugno 1632, iniziò il noviziato il 1 luglio 1632 e professò il 2 luglio 1634. Fece parte di varie comunità da Monreale a Genova, da dove fu inviato a Madrid verso la fine del 1644. Rimase in questa città per il resto della vita. Fu superiore per vari mandati ed infine provinciale della Spagna fino alla morte – avvenuta nel 1672 – in un periodo difficile per la provincia, anche a motivo dell’attrito tra religiosi italiani e religiosi spagnoli. La sua morte avvenne il 13 settembre 1672 (il Regi riferisce il 15 settembre) per una febbre maligna da cui venne contagiato durante il servizio all’ospizio di Madrid. Come attesta il confratello padre Boselli, che spesso fu suo compagno nel ministero, al suo solenne funerale vi fu grande concorso di popolo ed espressioni di venerazione. Il conte de Medellin addirittura «destramente li levò il dito piccolo della mano destra», un altro volle il cappello ed un altro ancora un suo rosario.

Padre Giovanni Battista PASQUALI

Entrò nell’Ordine nel 1588 e fu tra i primi religiosi professi di Napoli il 3 maggio 1592. Visse alla scuola del Fondatore per molti anni e fu sovente suo compagno di viaggio. Padre De Martino testimonia di lui: «Religioso di molta virtù e carità, entrò (al servizio degli appestati) con tanto fervore e spirito (nonostante i suoi 60 anni), ch’era di stupore a chi lo mirava, essendo infaticabile per la salute delle anime, avendolo visto più volte, nel tempo del solleone, negro come le mie vesti per le molte fatiche, ma tanto allegro e giocondo che pareva che uscisse da’ suoi panni. Giunto nelle case per amministrare i Sacramenti, et trovando tutti (quei di casa) ammalati, (dopo aver) atteso alle cose dell’anima, si rivolgeva ai bisogni del corpo, cioè a rifare i letti, appicciare il fuoco, far da mangiare, e dopo cibato (gli infermi), lavar i piatti, spazzare la casa, cibare i figliolini, e far quanto quei meschini avevano di bisogno, in modo che da tutti era chiamato l’infaticabile pieno di carità. Entrò al servizio a’ 26 giugno e a’ 24 luglio ammalò di peste». Dopo essere stato tre giorni a san Paolino (Palermo), dove prese alcuni medicamenti, volle essere ricoverato al lazzaretto comune, dove morì il 31 luglio 1624.

Vi ricordiamo la novena preparata da CADIS in 5 lingue diverse a partire dal 16 maggio 2021 e a celebrare la messa il 25 maggio 2021.

L’intenzione primaria della novena e della Santa Eucaristia è rivolta a quelli che sono in prima linea nella lotta contro la pandemia affinché perseverino e restino in salute, e a tutti coloro che sono stati infettati dalla malattia del coronavirus.

Scarica qui il libretto della novena in lingua:

ITALIANA

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