Religiosi e laici insieme nella stessa “Famiglia Carismatica”

Fabio Ciardi, omi

Una delle attese di Papa Francesco per l’anno della vita consacrata riguarda la comunione tra i diversi Istituti:

Mi aspetto che cresca la comunione tra i membri dei diversi Istituti. Non potrebbe essere quest’Anno l’occasione per uscire con maggior coraggio dai confini del proprio Istituto per elaborare insieme, a livello locale e globale, progetti comuni di formazione, di evangelizzazione, di interventi sociali? In questo modo potrà essere offerta più efficacemente una reale testimonianza profetica. La comunione e l’incontro fra differenti carismi e vocazioni è un cammino di speranza. Nessuno costruisce il futuro isolandosi, né solo con le proprie forze, ma riconoscendosi nella verità di una comunione che sempre si apre all’incontro, al dialogo, all’ascolto, all’aiuto reciproco e ci preserva dalla malattia dell’autoreferenzialità.

Il risorgere dell’Unione dei Membri delle Curie Generalizie è una risposta all’appello del Papa e potremmo considerarlo come uno dei frutti dell’Anno della vita consacrata. Questa unione, come l’USG e l’UISG sono una modalità per crescere nella comunione e per elaborare insieme progetti comuni.

In particolare la serie di incontri cui abbiamo dati vita quest’anno, hanno una meta precisa: la condivisione delle esperienze sui nostri rapporti con i laici che condividiamo il carisma dei nostri istituti e con la costellazione di istituti, maschili e femminili, nati da un comune carisma, quelle che il Papa ha chiamato “famiglie carismatiche”, come leggiamo nella medesima lettera:

Con questa mia lettera, oltre che alle persone consacrate, mi rivolgo ai laici che, con esse, condividono ideali, spirito, missione. Alcuni Istituti religiosi hanno un’antica tradizione al riguardo, altri un’esperienza più recente. Di fatto attorno ad ogni famiglia religiosa, come anche alle Società di vita apostolica e agli stessi Istituti secolari, è presente una famiglia più grande, la “famiglia carismatica”, che comprende più Istituti che si riconoscono nel medesimo carisma, e soprattutto cristiani laici che si sentono chiamati, proprio nella loro condizione laicale, a partecipare della stessa realtà carismatica.

Incoraggio anche voi, laici, a vivere quest’Anno della Vita Consacrata come una grazia che può rendervi più consapevoli del dono ricevuto. Celebratelo con tutta la “famiglia”, per crescere e rispondere insieme alle chiamate dello Spirito nella società odierna. In alcune occasioni, quando i consacrati di diversi Istituti quest’Anno si incontreranno tra loro, fate in modo di essere presenti anche voi come espressione dell’unico dono di Dio, così da conoscere le esperienze delle altre famiglie carismatiche, degli altri gruppi laicali e di arricchirvi e sostenervi reciprocamente.

Una riflessione adeguata su questo tema domanderebbe un’ampia visione su almeno tre dimensioni: 1) il laicato nella Chiesa comunione, 2) i laici associati tra loro in gruppi, associazioni e movimenti, 3) quelli che condividono un’esperienza di vita con i religiosi e le religiose. Basterà una panoramica sintetica.

1. Una nuova coscienza della missione profetica dei laici

Lungo la storia spesso si è avvertita una tensione tra consacrati e laici, che si esprime nella stessa terminologia non sempre felice. Se noi siamo dei consacrati i laici possono pensare di venire considerati quasi come degli sconsacrati. Quante volte, dichiarandomi religioso, mi sono sentito dire dai laici: Anche noi siamo religiosi. La visione della vita consacrata come stato di perfezione ha portato ad una tacita ma quasi conseguente opposizione ad uno stato di imperfezione o di non piena perfezione dei laici. Ancora alla vigilia del Concilio era opinione corrente che il Vangelo offrisse una duplice via di salvezza: quella dei precetti, che obbliga ogni cristiano, e quella dei consigli, riservata ad alcuni. Quest’ultima, propria dei consacrati, era considerata superiore, lasciando i laici in uno stato di inferiorità. Igino Giordani, uno dei grandi protagonisti del laicato del XX secolo, la cui causa di beatificazione è ben avanzata, lamentava che il laicato veniva considerato come il proletariato della Chiesa. Non vogliamo entrare nella valutazione della teologia soggiacente a tale terminologia. Ci basta notare come essa, di fatto, abbia ingenerato un certo disagio e delle incomprensioni di cui sentiamo ancora le conseguenze.

Anche la prassi ha contribuito al reciproco distanziamento tra le vocazioni nella Chiesa. Monaci e religiosi si sono spesso ritirati in un loro mondo, con una propria vita liturgica staccata da quella della chiesa locale, con opere proprie, con una clausura che accentuava le distanze, con uno stile di vita che li allontanava da quello degli altri cristiani fino a farli sentire troppo remoti, quasi irraggiungibili. Anche qui non parliamo della legittimità o meno di certe forme di vita, del valore del ritiro dal mondo, della solitudine, della clausura, ma solo di alcuni effetti negativi che un certo modo di vivere questi valori ha ingenerato e che continua ad alimentare un senso di disagio nei rapporti reciproci.

Il richiamo a questo passato non è puramente accademico. Dopo le conquiste ecclesiologiche del Concilio Vaticano II è davvero superata tale mentalità di una volta? O non si possono notare rigurgiti di “restaurazione” di una certa superiorità clericale?

Non possiamo tuttavia negare il grande cambiamento provocato nella Chiesa dalla presa di coscienza della “universale vocazione alla santità”. Sì, anche i laici, per il fatto di essere cristiani, sono chiamati alla santità. Questo fatto, nota l’Istruzione Ripartire da Cristo, può diventare «motivo di gioia per le persone consacrate; sono ora più vicine agli altri membri del popolo di Dio con cui condividono un comune cammino di sequela di Cristo, in una comunione più autentica, nell’emulazione e nella reciprocità, nell’aiuto vicendevole della comunione ecclesiale, senza superiorità o inferiorità» (n. 13).

È stata superata, almeno dal punto di vista dottrinale, una duplice tentazione sempre ricorrente lungo la storia della Chiesa.

La prima è restringere la cerchia di quelli che sono chiamati a vivere il Vangelo nella sua integrità. I laici sarebbero i primi ad essere “esentati” da certe pagine evangeliche, forse proprio da quelle che Gesù dettava alle “folle”, a “tutti”. È una tentazione che troviamo già nei primi tempi della Chiesa e alla quale si opponeva un Giovanni Crisostomo che rivendicava per tutti i laici l’integrità del dettato evangelico. Parlando al suo popolo così si esprimeva: «Alcuni di voi dicono: “Io non sono un monaco” (…). Ma è qui che vi sbagliate, perché credete che la Scrittura riguarda solo i monaci, mentre essa è ancor più necessaria a voi fedeli che siete in mezzo al mondo». Rimprovera quelli che «ritengono che non convenga loro prendersi cura di leggere le divine Scritture» per il fatto che «convivono con la moglie o militano nell’esercito, o perché hanno preoccupazioni per i figli, cura per i familiari o impegni in altri affari».

CONTINUA QUI