Riflessione sulla formula di vita: la povertà

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Veste appartenuta a San Camillo custodita nel museo dei Camilliani a Roma

«Sappia che ha da essere morto a tutte le cose del mondo, cioè ai parenti amici, robbe et a se stesso… »

«Pensi che ha da essere a se stesso morto, se tieni tanto capital di gratia dal Spirito Santo che non si curi ne di morte ne di vita, ne de infermità o sanità, ma tutto come morto si dia…»

«Cossì rinnovato si prepari al molto patire…»

Sono tre passaggi molto severi della formula di vita, e tali da provocare sensi di colpa: è difficile infatti mantenersi allineati su programmi così coinvolgenti. Sarebbe maldestro da parte mia i volervi garbatamente edulcorale.

Indubbiamente le richieste che la formula di vita poneva ai giovani erano radicali.

I rapporti di San Camillo con i suoi religiosi si ispiravano a grande comprensione. Abbiamo notizie di gesti molto delicati quando, per esempio, avevano bisogno di cure o li assisteva nella malattia contratta assistendo gli appestati.

A più riprese tempera i rigori del servizio istituendo turni di roposo e procurando alle comunità più grandi delle residenze di campagna per il ricupero e il mantenimento della salute.

Ma non tollerava mezze misure. Lo irritavano gli accomodamenti e le ambiguità. Poco più di un mese prima di morire affida alla lettera testamento anche questa annotazione:

«infatti il nostro Ordine richiede uomini perfetti, che facciamo la volontà di Dio e che giungano alla perfezione e santità. Sono questi che non soltanto faranno del bene a se stessi, ma anche daranno edificazione alla santa Chiesa e a tutto il mondo. In esso si farà gran progresso e profitto per mezzo loro. Al contrario, quelli che fossero sensuali, di poco spirito religioso, immortificati rovineranno l’Ordine.»

Che cosa significa, per il camilliano di oggi, entrare, o anche perseverare, nell’istituto cui il Signore lo ha chiamato?

IMG_2201Al sinodo dei vescovi del 1990 si sono evidenziate due tendenze, come valutazione della realtà. Una, decisamente pessimista. È stata così riassunta nella relazione finale: «Siamo confrontati con sfide e difficoltà, quali l’indifferenza religiosa, il materialismo, la povertà e l’ingiustizia, un crescente fossato tra nazioni e classi sociali ricche e povere, difficoltà familiari ecc…». Tra gli altri motivi di valutazione negativa figurano anche la crisi dell’immagine cattolica del sacerdozio, il gran numero degli abbandoni, la riflessione drammatica delle vocazioni. Sono cose che deprimono e scoraggiano. Pur portato ad allinearmi su di una visione più serena e ottimista, sta di fatto che il mondo ci è ostile, o critico o indifferente; il credo liberale enfatizza la responsabilità individuale al di fuori di quadri religiosi, diffondendo germi di contaminazione; il mistero della rivelazione di Dio, il dono della grazi che proviene dall’alto non fanno presa; la vita religiosa stessa, nella quale io credo, fa acqua da molte parti: ci sono, all’interno di essa, troppi battitori liberi, c’è diffusa conflittualità all’interno di essa, troppi battitori liberi, c’è diffusa conflittualità all0interno dei gruppi comunitari, la molteplicità dei pareri viene vissuta male, e poi ci si prendono delle libertà che è difficile approvare e non sembrano riprodurre il modello della formula di vita.

In questi contesti non è facile neppure oggi optare per un istituto religioso. Ma non è mai stato facile. Ieri come oggi, San Camillo non vuol illudere i suoi seguaci. L’opzione, o è radicale o è meglio che non ci sia: «sappia che ha da essere morto a tutte le cose del mondo», «si prepari al molto patire»

A rifletterci bene

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