San Camillo e San Filippo: il senso d’un conflitto

P.Giuseppe Cinà, M.I.

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Busto di San Filippo Neri di Filippo Algardi. Chiesa di Santa Maria del Paradiso Verona

Chi conosce la vita di san Camillo, sa anche della tensione che a un certo punto venne a crearsi tra lui e il padre Filippo, suo direttore spirituale. Sa anche come poi quel conflitto in seguito si ricompose, al punto che i due “santi” si ritrovarono addirittura in una maniera più intensa e matura.

Dato che anche a noi capita – ahimè, abbastanza spesso ! – di vivere situazioni di contrasto e di risentimenti, e che non sempre questi conflitti si ricompongono in maniera soddisfacente, vorremmo approfittare, per così dire, della vicenda di Camillo e Filippo per trarne profitto per le nostre tristi esperienze.

Richiamo rapidamente i fatti. E’ Camillo che ha l’iniziativa del rapporto con Filippo. Da alcuni anni era venuto a Roma, ancora non pienamente rappacificato con la sua coscienza a proposito del voto di farsi frate cappuccino. In seguito alla “conversione” del 2 febbraio 1574, ci aveva provato seriamente per due volte, e tutt’e due le volte la fastidiosa e misteriosa piaga alla gamba gliel’aveva impedito.

Si era così reso finalmente conto che Dio non lo voleva frate. Che fare allora? Lo capì stando ricoverato all’ospedale di san Giacomo di Roma: Dio lo voleva a servizio di quei poveretti. E lui vi si era dedicato, questa volta, con tutto l’animo, al punto che… fece carriera. Fu nominato “Maestro di casa”, cioè responsabile dei servizi dell’ospedale e del personale. Esercitò l’incarico con tale diligenza e impegno da sviluppare una straordinaria tenerezza verso gli infermi.

Vedeva però quanto malamente i malati venissero assistiti dai così detti “serventi”, gente raccogliticcia, che stava lì solo per il soldo. Dopo ripetuti e vani tentativi di migliorare la situazione, la notte del 14 agosto 1582, aveva progettato d’istituire “una Compagnia d’huomini pij e da bene, che non per mercede, ma volontariamente e per amore d’Iddio servissero gli ammalati con quella carità et amorevolezza che sogliono fare le madri verso i loro proprij figliuoli infermi”.

L’iniziativa però non era affatto piaciuta agli Amministratori dell’ospedale. Al punto che Camillo cominciò a sfiduciarsi, a ritenere che si trattasse d’una sua stolta presunzione. Finalmente fu il Signore stesso a rincuorarlo. Prima “in sogno”, poi, qualche tempo dopo, da sveglio, è il Crocifisso che lo incoraggia, non senza una punta di rimprovero: “Di che t’affliggi, o pusillanimo? Seguita l’impresa, ch’io t’aiutarò, essendo questa opera mia, e non tua”. Così rincuorato, Camillo era tornato con decisione a quel progetto.

L’incontro con san Filippo

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Gaspare Serenari “I ss. Camillo de Lellis e Filippo Neri” Chiesa della Maddalena Roma

Nel frattempo, benché convertito a Dio, o meglio, proprio in seguito a quella svolta, s‘era reso conto d’aver bisogno d’una guida spirituale. La trovò in san Filippo Neri e nel suo “Oratorio”, ambiente vivace e ricco di spiritualità. Padre Filippo, molto attento al mondo dei sofferenti e dei poveri, fu felice di accoglierlo, vedendolo così ben impegnato nel servizio dei malati.

L’impegno da parte di Camillo era di venire da Filippo per la confessione e la direzione spirituale ogni sabato e vigilia di festa. Per otto anni fu fedele alla promessa. E alto fu il guadagno che ne ricavò.

Ma a un certo punto tra Filippo e Camillo ci fu la rottura. L’accordo resse fino a quando il progetto che Camillo e i suoi compagni stavano portando avanti all’ospedale san Giacomo non fu messo in discussione da padre Filippo.

Che cosa era accaduto? Come già detto, l’iniziativa di Camillo non era andata giù ai Signori responsabili del san Giacomo. Pur apprezzando l’impegno di Camillo a favore dei malati, l’idea che egli fondasse addirittura una sorte di associazione per rinnovare il modo di gestire l’ospedale, la reputavano strampalata. E non riuscendo a scollare quest’idea dalla testa di quel “terribile cervello” che era Camillo, e sapendo del grande ascendente che padre Filippo aveva su di lui, informarono quest’ultimo di quanto stava accadendo al san Giacomo.

Filippo era anch’egli d’accordo che l’impresa nella quale s’erano imbarcati Camillo e i suoi compagni, era fallimentare. Più volte a Camillo aveva detto a chiare lettere il suo pensiero: che abbandonasse ogni idea di fondare una Compagnia; badasse piuttosto a se stesso, alla propria vita spirituale e s’occupasse degli infermi, ché questo era già tanto. Anzi, una volta gli aveva dichiarato rudemente che “uomo idiota e senza lettere qual era, non sarebbe mai stato atto a governare gente congregata insieme”.

Camillo accusò il colpo, ma rispose che lui non ci può far nulla: l’idea della Compagnia, non è sua; gli è stata piantata dentro da un Altro, né a lui riesce di levarsela di dosso.

Irremovibile è Filippo, che pertanto gli intima di lasciare quel progetto, oppure, lui e i suoi compagni, si trovassero un altro confessore.

A questo punto, i due…”santi” non si capiscono più. E’ un colpo dolorosissimo per Camillo, che tuttavia non riesce a rinunciare a quel progetto, perché è convinto che è addirittura Gesù Cristo a volerlo. Anche se con il cuore spezzato, accetta la realtà e si distacca dal suo amatissimo confessore e padre.

Il senso di un conflitto

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Giovanni Pannozza “Visione di S. Filippo del soccorso portato dagli Angeli vestito dell’abito dei Camilliani” Chiesa della Maddalena Roma

Quale significato può avere il contrasto che esplose tra Camillo e padre Filippo? In un certo senso, vista la diversità delle due personalità a confronto, si potrebbe anche dire che la tensione prima o poi doveva esplodere. Eppure i due, anni dopo, si rincontrarono e si capirono. Questa volta era stato Filippo a cercare Camillo. Da lontano, aveva continuato a seguire Camillo e la sua opera. E ne era rimasto edificato. Fatto vecchio, era andato a cercare Camillo nella sua residenza, presso la Chiesa della Maddalena in Roma, per dirgli: “Davvero che la riuscita di quest’opera mi pare miracolosa, perché non è frutto di mezzi e di scienza umana!

Come mai Filippo aveva cambiato idea?

I biografi più recenti dei due Santi, fanno notare come Filippo, al momento di licenziare Camillo dalla sua guida, gli aveva lui stesso procurato un successore nella persona dell’oratoriano Antonio Talpa. Doveva aver intuito che, con tutta probabilità, la presa di posizione di Camillo non era pura testardaggine. Forse, dentro quella testa granitica, che sapeva tanto di Maiella e di Gran Sasso, c’era qualcosa che gli sfuggiva. E se, per un verso non se la sentiva di guidare chi non era disposto ad ascoltarlo, d’altra parte aveva fondati motivi per ritenere che qui ci voleva una persona più libera interiormente per valutare la posizione di Camillo. Egli si sentiva troppo coinvolto con i giudizi dei “signori Guardiani” del san Giacomo.

Ogni incontro è uno scontro…

Ed ecco la “lezione” che potremmo trarre da quello scontro: in genere, si può dire che siamo troppo facili a irrigidirci su noi stessi quando abbiamo qualche scontro con altri. Con eccessiva leggerezza, si pensa che le posizioni siano insanabili. Per cui, una volta avuto il contrasto, si ritiene che non ci sia altro da fare che distaccarsi salomonicamente l’uno dall’altro, o gli uni dagli altri: “Formiamo un altro… partito, una nuova corrente, e non se ne parli più!” Magari, a volte è proprio così, né c’è altro da fare che lasciare che ognuno se ne stia per conto suo.

Eppure questo non sempre è vero, anzi nella maggior parte dei casi, è vero proprio il contrario, e cioè è necessario ritrovarsi, come Filippo e Camillo, perché in fondo a questo tendeva il conflitto: a far in modo che si ritrovassero in maniera più autentica e profonda.

La ragione? Perché i contrasti, i conflitti, le incomprensioni e le tensioni fanno parte del gioco della vita. La Bibbia – Antico e Nuovo Testamento – è piena di tensioni e di lotte. Molte delle figure bibliche più eminenti – ma la stessa cosa si potrebbe dire della storia della Chiesa – solo in seguito a scontri, lotte e conflitti e tensioni raggiungono la loro “verità”, ossia divengono autenticamente se stessi, e quindi fecondi per le loro comunità, o per la comunità umana ed ecclesiale nel suo insieme. Un esempio per tutti potrebbe essere la misteriosa “lotta di Giacobbe con l’Angelo” al torrente Jabbok, di cui parla il libro della Genesi (32, 23-33). E’ proprio in seguito a quella “lotta”, dalla quale Giacobbe esce ferito “all’articolazione del femore”, che riceve il “nome nuovo” – Israele – che esprime la sua vera identità e la sua missione: padre dei 12 figli, ossia delle 12 tribù del popolo dell’Alleanza.

Anche Camillo e Filippo, nel loro incontro-scontro, escono tutt’e due feriti, ma proprio per questo rigenerati ad una loro verità più profonda e più matura: Filippo è “cresciuto” nella comprensione del disegno di Dio, in quanto ha potuto vedere che davvero Dio era all’opera in Camillo. Camillo a sua volta s’è reso conto che una tale opera, era davvero frutto dell’azione libera e sovrana di Dio, perché lui, uomo di “molto terribile cervello”, “idiota e senza lettere”, come lo aveva definito San Filippo, davvero non avrebbe potuto realizzare qualcosa del genere.

Orazione panegirica di San Filippo Neri