San Camillo: un profeta nell’arte di “curare”

di p. Leocir Pessini in Missione Salute Anno XXX – N.1 GENNAIO FEBBRAIO

Viviamo in tempi carichi d’incertezza, segnati da paurose delusioni, da un terribile disinteresse e da una mortale indifferenza nei confronti della vita umana. È urgente recueprare l’incanto e la responsabilità del “prendersi cura” della vita umana come “buoni samaritani”. Camillo de Lellis è la grande icona umana e divina che da quattro secoli è d’ispirazione nell’’”arte della cura” per tutti i professionisti che lavorano nel mondo della salute. Proviamo a mettere in luce alcune delle caratteristiche di questa vera e propria “arte di curare”.

Amore per il malato

Camillo diceva che i poveri e i malati sono lo stesso cuore e le pupille di Dio: in loro serviamo Gesù Cristo. Nel suo testamento Camillo esorta i suoi discepoli a mantenersi fedeli nello scegliere i più poveri e malati, con tutte le esigenze che questo impegno comporta. Davanti al gran numero di mercenari che, senza alcuna preparazione specifica erano addetti alla cura dei malati negli ospedali del suo tempo, Camillo uscì con quella sua celebre espressione «mettere più cuore nelle mani».

Assistere con una sensibilità femminile

A quanti lavoravano con lui nel campo della sanità, Camillo diceva: «Prima ognuno domandi al Signore che gli dia la grazia un affetto materno verso il suo prossimo: cosi che possiamo servirlo con ogni carità sia dell’anima come del corpo, perché desideriamo (con la grazia di Dio) servire tutti gli infermi con quell’affetto che suole avere un’amorevole madre per il suo unico figlio infermo» (da “Ordini et modi che si hanno da tenere nelli hospitali in servire li poveri infermi”, n. XXVII)

Cura totale della persona (corpo e spirito) e accoglienza incondizionata

2f1bea78-8198-45d0-8a97-8c9d9d692741Camillo era più attento alle necessità umane che alle esigenze della Chiesa. La Chiesa esigeva di norma che i malati, prima di entrare in ospedale, si confessassero. Camillo lottò contro questa regola, dicendo che era necessario prima di tutto essere attenti ai bisogni di cura e poi, sempre rispettando la libertà di ciascuno, accostarli al sacramento della riconciliazione. Camillo desiderava che i suoi confratelli provvedessero alla cura globale dei malati. L’ospitalità era una virtù sempre presente nel suo cuore. Durante le epidemie, quando gli ospedali erano sovraffollati, Camillo apriva chiese e case perché i malati avessero un tetto.

Liturgia ai piedi del letto (dei malati)

Per Camillo, la vera “liturgia” si celebrava ai piedi del letto del malato. Tutto quanto era fatto al malato, per lui aveva una dimensione sacramentale. Si potrebbe dire che per Camillo era liturgia il rifacimento dei letti, era liturgia l’alimentazione; liturgia era stare accanto a colo che stavano per morire. Tutti erano atti d’amore che si trasformavano nell’azione sacramentale del “prendersi cura”. Erano riti liturgici tagliare i capelli, pettinare, tagliare le unghie, lavare i piedi, asciugare camicie madide di sudore, cauterizzare ferite, inumidire le labbra, porre qualche goccia di aceto sotto le narici, lavare e asciugare le mani, imboccare i malati e tutti gli altri gesti di assistenza. Uno dei suoi più celebri detti era che «non è buona quella preghiera che taglia le braccia alla carità».

Educare a curare con tenerezza

Camillo vedeva, sentiva e soffriva per la presenza di mercenari che lavoravano negli ospedali senza curare bene i malati. Egli insegnò ai suoi discepoli, attraverso l’esempio, la forma corretta di assistenza. Cosi che le istituzioni camilliane fossero viste come “scuola di carità” dandone motivo agli operatori cosi come ai malati.

In questi nostri tempi di crescente attenzione al fatto economico, con esclusione del cuore nell’applicare le cure, rischiamo di perdere questa sensibilità e intuizione originali di Camillo.

Unite etica ed estetica

Camillo apprezzava in modo tutto particolare la musica e frequentava volentieri le chiese dove si potevano ascoltare delle melodie. Cosi, era portato a paragonare le cure ai malati a una sinfonia musicale. Diceva: «Quando in ospedale molti malati chiamano nel medesimo tempo, mi pare di ascoltare una musica… Padre, mi dia un po’ d’acqua per rinfrescarmi la bocca… Mi sistemi il letto… mi riscaldi i piedi…».

Questa dovrebbe essere musica gradita anche ai Ministri degli Infermi. Ugualmente, chiedeva ai suoi discepoli d’avere un certo talento artistico avvicinandosi con dolcezza ai letti dei malati, senza far rumore, camminando in mezzo ai corridoi fra i letti senza strascicare i piedi, quasi a passo di danza.

Una delle più grandi creazioni di questo artista e genio della carità è di aver introdotto nella cura dei malati l’idea della bellezza.