Delle cinque misericordie che fece il Signore al suo servo Camillo

13255979_1036984996366515_421546242996145119_nTutta la vita di Camillo fu contrassegnata da un abbandono fiducioso alla misericordia del Signore, anche e soprattutto nei momenti di tensione e di difficoltà nel portare con coerenza le scelte di vita, la relazione con le persone, i malati, i confratelli. Il suo stesso corpo procurò a Camillo molti motivi di enorme sofferenza, che egli stesso – con il suo solito e ben allenato sguardo provvidenziale – aveva cominciato a chiamare le cinque misericordie del Signore e che non attenuarono, anzi forgiarono, il suo slancio di compassione verso i malati e i poveri

Sanzio Cicatelli, Vita del P. Camillo de Lellis,

Casa Generalizia dei Camilliani, Roma 1980, Cap. XV, 438-441.

 

Continuando tuttavia Camillo nel sudetto modo di vita dentro l’Hospidale di Santo Spirito, si compiacque Sua Divina Maestà per perfettionare, e purificare il suo servo, come l’oro nella fornace, e anco per fargli gustare in parte quelle parole di San Paolo, Quis infirmatur, et ego non infirmatur? di mandargli una longa indispositione d’inappetenza, che fù l’ultima di tutte l’altre misericordie (che così soleva esso buon Padre chiamar le sue infermità) delle quali fù abondantemente favorito dal Signore in questa vita.

Poiche essendo ancora giovanetto, la prima misericordia, che ricevè dal Cielo, fù la piaga incurabile della gamba: il che non solo gli servì per fargli conoscere che cosa fossero Hospidali, d’onde hebbe principio la nostra Congregatione, ma anco gli servì per essercitio di patienza. Purgando detta (p. 164) piaga tanta materia, che arrivava ad una libra ogni giorno in modo, che azzuppando tutte le fascie, le pezze, e le calzette, ne trapassava anco sin dentro la scarpa, portando quasi sempre il piede bagnato di quella. Onde era incredibile la quantità delle fila, che vi consumava: le quali in molte Città gli erano fatte da diverse Signore sue divote, et in Roma particolarmente fra l’altre da alcune Rever. Madri di Torre di Specchio, dalla Signora Prudentia Diaz, e finalmente anco la Sig. Duchessa Sforza non si sdegnava di fargline con le proprie mani, per la molta divotione, che gli portava. E questa croce della piaga la portò per lo spatio d’anni quarantasei in circa: dalla quale egli cavò questo frutto, che pensò quella essergli stata mandata dal Cielo, acciò che lo dovesse tener sempre obligato, et imprigionato ne gli Hospidali. Ma non ostante che la detta piaga à giuditio de’ medici fosse di conditione stravagante, et estraordinaria; passando il concetto naturale dell’arte, per esser ulcera putrida, corrosiva, e cava grandissima, che circondava quasi tutta la gamba, con tutto ciò la materia, che l’usciva, ancorche fosse in gran quantità, non per questo era fetida, ne di cattivo odore, non adoprandovi egli altro, che filaccie, pezze, e l’unguento basilico: anzi fù osservato da una donna in Genoa, che gli lavava dette pezze, che ne anco l’acqua, dove erano state lavate dopo molti giorni, puzzava, ma più tosto rendeva odor, lasciando nel fondo del bacile un suolo di cera gialla.

La seconda misericordia fù, ch’essendo egli Mastro di casa in San Giacomo per le molte fatiche, che notte, e giorno faceva sopra gli infermi, si crepò, e ruppe, onde fù costretto d’andar continuamente cinto con un grosso cerchio di ferro: il tormento del quale era tanto, che conforme egli diceva, non si poteva credere, se non da quelli, che somiglianti (p. 165) infermità pativano. E questa croce la portò almeno per lo spatio d’anni trent’otto: dalla quale egli cavò questo frutto, che pensando essere stato dal Signore venduto, e destinato per schiavo de’ poveri, con raggione poi, per segno di tal servitù, doveva andar sempre cinto, e cerchiato di ferro.

La terza misericordia fù, haver egli dui calli vecchissimi sotto la pianta del medesimo piede infermo, quali erano così dolorosi per lui, che le strade gli parevano seminate di triboli, e spine; onde il zoppicar, che talvolta faceva, non procedeva tanto dal dolor della piaga, quanto dal suddetto dolor de’ calli; il quale in certi tempi ,oli cresceva tanto che facendo viaggio non poteva ne anco 13133369_1032831120115236_242653583388842827_nappoggiar il piede sopra la staffa, ma bisognava alhora adoprar un fazzoletto pieno di paglia in cambio di quella. E questa croce la portò almeno per lo spatio d’anni vinticinque: dalla quale esso cavò questo frutto, che ad ogni passo pensava il buon Padre voler Nostro Signore, che si ricordasse questa terra non essere sua patria, e però ch’aspirando al Cielo si affrettasse con le buone opere di guadagnar il palio, e la corona.

La quarta misericordia fù, quando in Napoli hebbe quella grande infermità di dolor di fianchi, che gli generò poi tante pietre ne’ renui, che di tempo in tempo, con estremo suo dolore, n’andò sempre buttando alcuna grossa, quanto un picciolo osso d’oliva, anzi fu talvolta costretto à farla cavare con le tenaglie. E questa croce la portò per lo spatio d’anni dieci: dalla quale egli cavò questo frutto, che pensava, essergli stata mandata dal Signore tale infermità, acciò egli si fosse avezzato à servirlo senza alcuna sorte di diletto, ma piu tosto con somma pena, et afflittione corporale, il che diceva egli essere il vero segno dell’amore, dovendosi alhora con maggior constanza, e fortezza servire à Dio, quando l’anima si sentiva non solo oppressa da’ dolori, e infermità corporali; (p. 166) ma anco arida, e derelitta da ogni gusto, e consolatione spirituale; Si come avvenne quasi sempre à lui, essendo rare volte dal Signor pasciuto, e banchettato con somiglianti gusti, e diletti, conforme i1 solito fare con altri servi suoi; ma per lo più l’andò guidando per la strada arenosa della aridità, e derelittione.

La quinta, e ultima misericordia fù quella, che gli mandò in questo tempo, facendogli venire una così fatta inappetenza, che di quanti cibi pigliava, di nessuno sentiva gusto, ò giovamento alcuno alla sua mancante virtù; ma più tosto nausea, puzza, e abborrimento. La quale andò pian piano crescendo tanto, che lo ridusse in termine, che soleva dire quando pigliava alcuna cosa, non solo patir quasi un martirio; ma trè; cioè uno quando s’imaginava d’haverla à pigliare, potendo in ciò dire con S. Giobbe; Antequam comedam suspiro; l’altro quando attualmente la pigliava; e il terzo quando dopo haverla presa era costretto più delle volte à ributtarla fuori: tanto la sua inappetente natura abborriva di ritenerla: Et in effetto questo abborrimento del cibo era tale, che più volte non solo in vederselo appresentar avanti; ma anco in sentirlo solo nominare, fù visto tutto quanto commoversi; ma facendo poi grandissima violenza à se stesso, pigliava animosamente il tutto per patir quel tormento per amor d’lddio, solendo talvolta dire à se medesimo; Vaglia per quando hai mangiato con tanto tuo gusto. E questa ultima croce la portò per lo spatio di mesi trenta; anzi fù quella, che trionfando finalmente di lui, lo vinse, e accompagnò alla sepoltura: dalla qual infermità mentre visse, cavò questo frutto, che pensò essere giunto il tempo della sua partenza, et il fine della sua peregrinatione, e però non piacere à Nostro Signore Iddio, ch’egli gustasse più delle cose di questo Mondo.

Dal che nacque che non curandosi di tal male, come dono mandatogli (p. 167) dal Cielo, ne facendone quel conto che si conveniva nel principio, l’andava più tosto coprendo: dubitando di non entrare in mano de’ Medici, ò in altro modo di vita particolare, onde poi fosse costretto di lasciare i soliti suoi essercitij di carità. Il che diceva egli che sarebbe stato il maggior male, e la maggior infermità, che gli potesse venire adosso, e per questo non prezzando se stesso, attendeva tuttavia à faticare, come se fosse stato un giovane d’anni trenta, passandone egli i sessanta.