Farsi Prossimo

 

Dal maggio 1887 al 3 ottobre 1890 Enrico tenne un diario che gli serviva per fissare anche sulla carta i difetti che notava in se stesso e che doveva a tutti i costi correggere, ma anche per sottolineare propositi e progetti di vita, che riteneva doverosi e corrispondenti al disegno di Dio rebuschini 6nei suoi confronti. Tra questi leggiamo: «Viscere di misericordia per i miei prossimi: voglio morire per i miei prossimi». Scriveva questa parole nell’aprile del 1890, nel pieno di una dolorosa crisi spirituale, una vera notte oscura, nella quale però ha la netta sensazione che ne uscirà solo percorrendo la via del servizio fino a morire per il prossimo. Dice esplicitamente che è questa la chiave interpretativa della legge di Dio. Vuole dedicare al prossimo «tutta la vita penitente di cui è capace il povero essere mio». Il suo cammino di santità ha due obiettivi: l’immedesimazione a Gesù. «È lui il sole, donde e tutta la mia vita; vivo se guardo Gesù, altrimenti sono morto, vivente della mia iniquità»; «io vivo in quanto in me e la vita di Gesù, che è carità e luce: ora, come posso chiedere a Gesù la vita, se io ricevendola, la spengo subito e non attendo a conservarla e nutrirla…?; e il servizio dei prossimi: «Non per me, ma per i miei prossimi e la gloria del cuore di Gesù». «Scrivete, mio Dio, nel mio cuore tutta la vostra legge … La grazia, Signore, di farmi affaticare quanto mi è dato». «Nei miei prossimi non alzar mai gli occhi che per vedere in essi il tempio di Gesù; io, loro servo e schiavo, pregare incessantemente per essi e avere verso di loro il cuore come verso il Signore Gesù …». Il quarto voto proprio dei camilliani di assistere gli infermi, egli lo vive nei termini seguenti: «consumare l’essere mio per dare ai miei prossimi il possesso di Dio», «nelle piaghe di Gesù e nella carità di Gesù vedere i miei prossimi, per essi fare col massimo fervore ogni mia azione». Nel mese di agosto 1890 nessun accenno al caldo terribile che a Verona indebolisce e snerva le persone, ma piuttosto: «Voglio la giustizia con i miei prossimi: vedere unicamente il tempio di Dio in essi: perciò amarli, riverirli, servirli coll’esempio, coll’opera, colla preghiera, colla parola di Dio», e il giorno seguente: «amare, riverire, servire i miei prossimi: ogni mia azione col massimo fervore nella verità, portando nel mio cuore i miei prossimi».

Vedere nei prossimi il tempio di Dio è immagine di S. Paolo, che la riferisce alla comunità cristiana (1Cor 3,16), detta anche Corpo di Cristo (1Cor 12,12 ss.). Ma Paolo impiega l’immagine anche per indicare che ogni persona è dotata di una sacralità, da riconoscere e rispettare: «Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi e che avete da Dio e che non appartiene a voi stessi?» (1 Cor 16,19). Ci si potrebbe chiedere: ciascuno è tempio di Dio a titolo della sua appartenenza cristiana, o anche solo a titolo della sua esistenza come persona umana creata da Dio, a prescindere dalla fede attiva che lo dovrebbe distinguere?Evidentemente non è legittimo elevare barriere tra persone degne e non degne del nostro amore e del nostro servizio. Tutti, indistintamente devono essere tributari del nostro amore attivo. E a tutti intendeva rivolgere le sue cure p. Rebuschini. Avere «verso di loro il cuore come verso il Signore Gesù» evoca il vangelo del giudizio finale: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36).

Enrico Rebuschini insieme ad amici e confratelli

Enrico Rebuschini insieme ad amici e confratelli

«I prossimi» gli ridisegnavano il volto di Cristo. Recentemente è stata data notizia che, coll’aiuto del computer, il volto del Cristo della Sindone è stato ricostruito in maniera sicura: è il volto di un giovane ebreo sofferente, ma sereno. Rifacendosi al vangelo di Matteo, Barbiellini Amidei dice che la cultura cristiana non ha atteso il cervello elettronico per ridisegnare il volto di Cristo. Lo ha riconosciuto lungo il corso dei secoli in tutti gli uomini che soffrono, e lo riconosce anche oggi.

«Nel nostro tempo affiorano tanti volti del Cristo, affiorano dalla nostra memoria di gente di questa era che ha smarrito la sua Pasqua. Ha il volto della madre di un ragazzo drogato, ha il volto di un profugo, ha il volto dei vecchi, dei fanciulli, ha il volto di popoli perseguitati per il denaro, per potere, per razzismo, per corruzione. Ha il volto dei malati e degli anziani lasciati nelle città vuote dei week-end pasquali. Ha il volto di quei bimbi uccisi l’altro giorno dalla mafia, mentre andavano a scuola. Ha il volto di chi muore per la libertà in Cile come in Cambogia e come in Sudafrica, di chi muore per la fame in Africa, di chi muore per i veleni industriali in India, ha il volto di Hiroshima e Nagasaki, a il volto di Auschwitz e Dachau. Tutto questo è certo, non è retorica, è certo in senso letterale. Infatti nella lettera, nella parola del Cristo è detto: quando incontrerete un uomo che soffre, un uomo che patisce un’ingiustizia, un uomo in catene, quando incontrerete un uomo affamato e povero, là sono io, chi aiuta lui aiuta me».

Martin Buber racconta: «Quand’ero bambino, lessi una vecchia leggenda ebraica che allora non potevo capire. Raccontava niente altro che questo: Dinanzi alle porte di Roma sta seduto un mendicante lebbroso ed aspetta. È il Messia. Mi recai allora da un vecchio e gli domandai: ‘Che cosa aspetta?’. E il vecchio mi diede una risposta che io allora non capii e che ho imparato a capire molto più tardi. Egli mi disse: ‘Te’

I mendicanti che si presentavano alla sua porta per essere aiutati, i malati della casa di cura e della città, gli anziani, i morenti, nei quali il Cristo si identifica, avevano bisogno di p. Rebuschini ed egli li ascoltava e rispondeva al loro bisogno di aiuto e di amore. Oggi hanno bisogno di noi, della nostra sensibilità, delle nostre competenze, delle nostre dotazioni spirituali. Sotto le loro sofferte apparenze c’è il Messia che ci attende.