Fratelli d’Ebola! La testimonianza di Anita Ennis (vice-presidente FCL) dalla Sierra Leone

Cari amici,

IMG_1689

Anita Ennis (vice-presidente FCL)

non posso credere di essere qui a Makeni, già da due settimane: anche se, in profondità mi sento come se fossi qui da molto tempo, mi sento parte integrante dell’Holy Spirit Hospital (HSH). Sono arrivata di domenica, era il 26 ottobre, e ho subito incontrato p. Dominic Johnson, che è il parroco della parrocchia vicino all’ospedale. Lui ha (molti di noi lo pensano!) l’ingrato compito di incontrare e di trasportare la gente da/all’aeroporto. Il volo Air Maroc, una delle poche compagnie aeree che volano in Sierra Leone, arriva alle 3.30 del mattino.

Appena atterrata mi hanno fatto lavare le mani, controllato il mio stato di salute, il passaporto e i bagagli. Alle 4.30 p. Dominic mi stava aspettando fuori: felice, allegro e accogliente.

Ho riposato un paio d’ore e alle 9 ero pronta per la santa messa; li ho capito di essere veramente arrivata in Africa. Per tutti c’è a disposizione un secchio con un rubinetto di collegamento contenente acqua clorata che tutti possono usare per lavarsi le mani. Come sempre le persone si sono dimostrate molto accoglienti ed è stato duro per me non stringere loro le mani, in particolare con i bambini che si affollavano intorno a me.

La chiesa è molto semplice, aperta e spaziosa, ma ho fatto in modo di sedermi vicino alla porta, a causa del caldo, ma anche perché sapevo che si sarebbero riuniti intorno alle 11. La celebrazione è iniziata alle 9.30, ed è stata una messa speciale per i giovani. Molti canti hanno accompagnato la cerimonia con grande intensità… è stato un onore per me partecipare a questo momento.

La macchina che mi avrebbe accompagnato a Makeni è arrivata subito dopo. Amadu, il conducente, ho imparato a conoscerlo molto bene. Era evidente che non ero la prima persona che aveva accompagnato. Anche lui mi ha dato un ottimo benvenuto, mi ha ringraziato per essere venuta nel loro paese per aiutarli.

Mi ha preparato al fatto che durante il viaggio avremmo incontrato dei punti di controllo e a quelli dove ti misurano la temperatura, come indice di un’eventuale infezione di Ebola. Il viaggio verso Makeni è complicato a causa dei vari check-point che si incontrano durante il tragitto. È necessario avere un pass speciale per passare: io avevo quello dell’Holy Spirit Hospital. Ci sono stati controlli da parte della polizia in ogni città che abbiamo incontrato oltre al controllo della temperatura in quattro di queste. Abbiamo superato i controlli – ma è incredibile lo stato d’ansia che si prova solo al pensiero di arrivare al checkpoint successivo.

Sapevo di non avere la febbre, ma visto il caldo, mi sono chiesta: “cosa farò se mi dicono che ho una temperatura alta?”. Fortunatamente era tutto a posto e siamo arrivati a Makeni dopo due ore e mezza. Makeni è la capitale della Provincia del Nord della Sierra Leone, e ha cinque distretti: Bombali, Tonkolili, Koinadugu, Port Loko e Kambia. Makeniè situato aBombaliSebora la città principale. Le principalitribùdella zona sonoTemne, LIMBA, fullahedi Mende.

Ho incontrato il religioso camilliano p. Aris Miranda nella casa dei religiosi saveriani, dove era ospite, su invito di p. Natale, l’Amministratore Apostolico di quella diocesi. Ancora una volta, un altro caloroso benvenuto!

In seguito ci siamo incontrati tutti insieme per fare il punto della situazione e sono stata informata delle condizioni generali dell’ospedale, quali erano i problemi e cosa potevamo fare per aiutare l’apertura dell’ospedale stesso che rimane il nostro obiettivo primario. Esso è stato chiuso a pazienti ricoverati ad agosto a causa degli elevati rischi di contagio da Ebola per il personale sanitario. Molti operatori sanitari sono morti, anche se nessuno all’interno dell’ospedale. Da questo fatto ho dedotto che nessun membro del personale era stato contagiato grazie alle misure adottate al fine di proteggerli.

Ospedale Holy Spirit di Makeni

Ospedale Holy Spirit di Makeni

Chiudere l’ospedale è stata una scelta difficile. L’altro problema è stato quello di porre fine ai contratti del personale che stava lavorando anche in altri istituti di cura. Tutto questo è stato fatto per cercare di ridurre il rischio di contagio ed è stato necessario per preservare la vita delle persone che lavoravano o venivano curate all’interno dell’ospedale. L’unica parte che ha continuato a lavorare è stata la sezione ambulatoriale (OPD), ma la frequenza è scesa considerevolmente, a causa della paura di contrarre l’Ebola.

La paura, anche se non apertamente espressa, è sottointesa per tutto il tempo. Non credo che questo sia difficile da capire. Pensiamo al livello di paura che era presente a casa prima di partire. I nostri timori riguardavano la nostra preparazione, cosa fare con l’arrivo di persone provenienti da paesi con alto contagio di ebola? Quali misure erano in vigore? Quali protocolli bisognava adottare? Come trattare i casi sospetti e dove curarli?

Le persone qui hanno paura di Ebola. Hanno paura di venire in ospedale perché temono di essere automaticamente sospettati di essere contagiati. Hanno paura che saranno trasferiti in arre di quarantena forzata. Il personale ha paura di contrarre Ebola, anche se hanno preso molte buone misure per ridurre il loro rischio. Una ditta di sicurezza è stata ingaggiata per controllare l’ingresso e l’uscita dall’ospedale. Tutti coloro che entrano devo verificare la loro temperatura.

La temperatura di ogni singolo membro dello staff sanitario è monitorata e registrata ogni mattina. Qualsiasi membro del personale sanitario che entra in contatto con la famiglia o vicini di casa con febbre inspiegabile, o sospettati di Ebola, è retribuito per stare a casa per il periodo di quarantena (21 giorni).

Il personale è ansioso di vedere l’ospedale riaprire, ma vuole anche essere protetti dal virus. C’è molto lavoro pratico da svolgere per preparare la riapertura: la pulizia generale e la fumigazione degli ambienti, la costituzione di scorte alimentari e sanitarie (ad esempio, i dispositivi di protezione individuale). In realtà questo non accadrà fino a quando non ci sarà un impianto di screening di laboratorio per Ebola.

Nel proseguire giorno per giorno le attività dell’ambulatorio, il personale è propositivo e felice per la riapertura. Ma quasi ogni giorno, si verifica una situazione che rinnova la loro ansia. Ci sono stati già due esempi durante settimana, ed è solo mercoledì (ndr.)!

Il primo è accaduto lunedì mattina, quando è arrivata la notizia che uno dei medici in un altro ospedale stava lottando per la sua vita, e nel pomeriggio, è stata riportata la sua morte. Questo è molto difficile per i medici che lo hanno conosciuto, ma anche per il personale. Si evidenziano anche le implicazioni per il personale, infatti lì dove è morto, tutti i collaboratori sono stati messi in quarantena.

Lo stesso giorno, in tarda mattinata, la madre di un bambino è stata portata in ospedale per un’ecografia ma a causa di un black-out non è stato possibile fare l’esame diagnostico. Il personale le aveva consigliato di andare a casa e tornare il martedì mattina per il test. La famiglia è ritornata il martedì mattina per reclamare il pagamento della visita, in quanto lei era morta a casa durante la notte. La causa della sua tragica morte è ancora sconosciuta, ma per una questione di routine le è stato fatto il test dell’ebola.

Non c’è un laboratorio per un primo screening di Ebola qui a Makeni: di solito si devono attendere un paio di giorni prima che il risultato sia comunicato. Immediatamente la notizia è circolata in tutto l’HSH, e per questo tutte le aree che la donna aveva attraversato sono state sottoposte a fumigazione (compresa la sala dell’ecografia, anche se lei è mai stata lì). Questo dà una piccola immagine di quanto sia complessa sia la situazione, attualmente.

Il mio lavoro è quello di sostenere l’ospedale e il personale in qualsiasi modo possibile durante la mia permanenza. La cosa più importante che posso fare per il personale adesso è far sentire la mia presenza. Naturalmente ho molti compiti pratici da realizzare, e spero tanto di riuscire a farli: in modo particolare sto lavorando per la riapertura dell’ospedale. La riapertura è di vitale importanza per la popolazione della città di Makeni. Questo è stato per molto tempo un’importante struttura autosufficiente, prima dello scoppio del contagio di Ebola. Ora è in crisi e sta lottando per rimanere aperto, e a causa di questo molti dei servizi sono paralizzati.

Ho trascorso il tempo a raccogliere informazioni su come l’ospedale funzionava prima di Ebola e come funziona ora. Io e Matrona, Ann Marie Koroma, abbiamo valutato tutte le unità di degenza per quanto riguarda le riparazioni necessarie, e discusso le strategie per promuovere un alto standard di controllo delle infezioni. Il personale ha già ricevuto l’aggiornamento di formazione sull’ Ebola, per l’individuazione, la prevenzione, il trattamento e di igiene delle mani. Alcuni dei cambiamenti individuati, per migliorare il controllo delle infezioni e ridurre il rischio di infezioni incrociate, sarà culturalmente difficili da realizzare (restrizione di visitatori), ma la volontà c’è.

Altre strategie avranno implicazioni di costo, ad esempio la riduzione del numero di pazienti in ogni reparto (da 5 a 3), la riduzione del numero di infermieri per numero di pazienti – un infermiere sarà assegnato a

Holy Spirit Hospital di Makeni

Holy Spirit Hospital di Makeni

un reparto, e dovrà essere responsabile di tutte le cura solo per quelli del suo reparto – ancora una volta, per limitare/ridurre il rischio di contaminazione incrociata. E ancora una volta la volontà c’è.

Ma tutto il personale è consapevole del fatto che l’ospedale dovrebbe avere un laboratorio specifico per il virus ebola, al fine di riaprire. Se ci fosse il laboratorio, i risultati potrebbero essere ottenuti in poche ore, consentendo una diagnosi abbastanza immediata, riducendo così i rischi di infezione. Esso potrebbe contribuire a ridurre i rinvii inutili per i casi sospetti di Ebola e ad evitare di ammassare le persone “sospette”, in attesa del risultato del test, (attualmente ci vogliono un paio di giorni per avere la risposta). Esso consentirebbe l’invio immediato di unità di trattamento per i casi confermati, e migliorare la loro possibilità di sopravvivenza.

Lo spazio può essere adattato e messo a disposizione qui in ospedale per questo laboratorio. L’ospedale sarebbe in una posizione migliore per riaprire. CTF (Camillian Task Force), a Roma sta lavorando intensamente, sostenendo e collaborando con altre fonti, per accelerare la creazione di questo laboratorio. Siamo molto fiduciosi che presto questo sarà una realtà non troppo lontana. Accanto a questo, possiamo constatare che i materiali e le forniture per aiutare l’ospedale a riaprire sono già arrivati. E ‘bello vedere le forniture in arrivo, ma c’è molto lavoro da fare al fine di garantire che tutto ciò che si riceve sia imballato e conservato in modo appropriato. Il clima rende particolarmente difficile il lavoro di chi gestisce lo scarico delle merci. L’opportunità di guadagnare qualche soldo extra solleva il loro spirito, e tutto si compie con il buon umore.

Nel frattempo Ebola continua a mietere vittime. Ci sono stati 58 casi confermati nel distretto di Bombali, dove si trova Makeni, e 133 in totale per i 5 Distretti della Provincia del Nord solo nei primi 5 giorni di novembre !! Nel frattempo, noi e la CTF, continuiamo a fare tutto il possibile per aiutare, attraverso la nostra collaborazione con le Diocesi di Makeni. La Diocesi infatti sta intervenendo in diversi modi come per esempio fornire supporto e assistenza alle famiglie in quarantena, con il cibo essenziale e prodotti non alimentari.

Stanno sviluppando un programma di sostegno psico-sociale, per aiutare tutti coloro che sono interessati in qualsiasi modo, ma in particolare per coloro che sono sopravvissuti. Il reinserimento nella loro comunità locale non è stato facile. Le persone hanno paura di loro, anche se hanno pienamente recuperato ed è stato loro rilasciato un certificato per dire che sono stati dimessi e non sono un rischio per la comunità. Il reinserimento è un problema anche per il ritorno dei lavoratori. Tutto molto comprensibile, ma pieno di speranza che le nostre paure possano essere dissipate. Mantenere la distanza, nessun contatto fisico e il continuo lavaggio delle mani, queste sono le regole qui, e queste stanno mantenendo la maggior parte di noi sani e salvi.

Si prega per l’apertura del laboratorio dell’ HSH per pazienti interni, così come per l’attivazione del programma di sostegno psico-sociale. La comunità locale e il quartiere ha bisogno di strutture sanitarie per prevenire la morte da malattie facilmente trattabili.

Grazie per tutto il vostro supporto!

RASSEGNA STAMPA

Per portare il tuo contributo clicca qui