Riflessione sulla formula di vita: in tema di povertà, l’insegnamento di san Camillo è tra i più severi.

«Sotto il suavissimo giogo della perpetua povertà»

«Vestito del povero nostro abito, il quale sarà secondo il parere del superiore, vecchio et rapprezzato in segno di mortificazione»

In tema di povertà, l’insegnamento di san Camillo è tra i più severi. Quanto egli dice nella Lettera Testamento ha valore di monito e di profezia:

Nel raccomandare la fedeltà alla nostra santa vocazione faccio particolare menzione al voto di povertà. A questo riguardo non voglio tralasciare di dire e ricordare a tutti i presenti e i futuri che se, com’è giusto, desideriamo che il servizio ai poveri infermi nell’ospedale – nostro fine principale – e nella raccomandazione delle anime persista e duri per sempre, dobbiamo mantenere la purezza della nostra povertà, con ogni esattezza, diligenza e buon spirito, nel modo stabilito dalle Bolle del nostro Ordine, poiché esso tanto sussisterà quanto la povertà sarà osservata alla perfezione, cioè anche nelle minime cose. Perciò esorto tutti ad essere fedelissimi difensori di questo santo voto di povertà e a non consentire in nessun modo che venga alterato anche per poco, né che, deviando, se ne offuschi la purezza.  Non bisogna lasciarsi ingannare dal diavolo sotto apparenza di falso bene, pensando di non poter vivere con le sole elemosine, perché questo è un inganno diabolico manifesto per rovinare il nostro santo Ordine. Infatti esistono nella Chiesa di Dio tanti Istituti religiosi mendicanti che professano una povertà più grande della nostra e tuttavia il Signore provvede loro in tutti i bisogni. Chi potrà dubitare allora che non provveda anche il nostro Ordine, dato che esso esercita un’opera tanto viva, non solo nell’ospedale ma anche nella raccomandazione delle anime?  Questa è una carità ben grande, gradita e accetta non solo a Dio, ma anche al prossimo: se esso, per dir così, avrà un pane, lo spartirà a mezzo con noi. Perciò in questo non dobbiamo dubitare che possa mancarci il necessario: anzi, con la grazia del Signore, ne avremo anche da buttar via, purché facciamo il nostro dovere”.

Camillo voleva che la testimonianza della povertà fosse individuale e collettiva. L’abito povero «vecchio et rappezzato» non era solo per gli altri, era anche per lui.

Alla Madonnina, Camillo e Curzio ammalano, «il che non avvenne per altro se non per le molte fatiche, mal mangiare e mal dormire che facevano dormendo essi sopra le stuore… e per la mala qualità dell’aria… Contentissimi si tenevano quando del pan cotto nella semplice acqua potevano avere» (Cicatelli, 64-65).

Per le mani di Camillo passò molto denaro, ma sempre per le emergenze sociali, nel corso delle quali gli veniva affidata l’organizzazione dell’assistenza.

Per le sue case, nonostante alcune vistose donazioni, fu sempre angustiato dai debiti, soprattutto verso la fine, quando, disperando ormai di poterli pagare, gli dispiaceva di lasciare delle noie ai successori. Nel 1592 il debito della Maddalena era di 9.000 scudi. La pigione della casa, di 370 scudi annui, era esigita impietosamente, alle scadenza pattuite, della Compagnia del Gonfalore che era proprietario e che arrivò anche a sequestrargli una casetta appena ricevuta in regalo (Cicatelli, 123).

Per i viaggi che doveva intraprendere, rimediava qualche prestito. Il cavallo di cui si serviva non doveva essere dei più robusti se una volta, tra Chieti e Bucchianico la bestia s’impuntò ed egli dovette proseguire a piedi (Cicatelli 441). L’aneddotica è esemplare.

La testimonianza collettiva della povertà, come ordine religioso riconosciuto, è documentata dal fatto che, pur essendo dotato di capacità organizzativa non comuni (lo si vide durante le epidemie) e pur godendo di grande prestigio morale, Camillo non si lasciò mai coinvolgere in progetti di costruzioni sul tipo di quelle che in quello stesso periodo, sorgevano nel centro di Roma ad opera di religiosi (S.Andrea della Valle, 1591; la possente facciata in cotto del Collegio Romano 1582-1591; il Gesù, iniziato nel 1568; San Carlo al Corso, 1612; la chiesa di San Giacomo, 1600; Santo Spirito, inaugurata nel 1598; S. Maria Traspontina, al cui cantiere passava davanti andando a Santo Spirito ecc… Nessun accenno mai a queste «opere proprie» nelle biografie di San Camillo, che pur sono documentatissime. Come pure non pensò mai a costruire ospedali dell’Ordine, alternativi a quelli pubblici che funzionavano male.

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