“Non importa quanto, ma come si vive”

di p. Renato Di Menna

01 - TOE studentatoMissionario Camilliano

in Burkina Faso

Ho conosciuto Alessandro Toè durante l’anno 1986. Faceva parte di un gruppo vocazionale della città di Ouagadougou. Un gruppo di studenti liceali aspiranti alla vita sacerdotale o religiosa. Egli era all’ultimo anno del liceo e si preparava all’esame di maturità. Aveva l’intenzione di diventare sacerdote e medico e un Padre Bianco l’aveva orientato verso l’istituto camilliano di Ouagadougou.

Io ero superiore dello scolasticato Camilliano, ed insieme con il P. Amendola Andrea ci occupavamo oltre che dei nostri candidati interni (liceali, novizi e professi), anche di un piccolo gruppo di esterni, di cui faceva parte Alessandro Toè. A questi era aperto l’accesso alla comunità. Venivano normalmente a fine settimana, ma con una certa premura erano invitati a partecipare al ritiro mensile. Erano questi i giorni in cui accostavamo preferibilmente i candidati per un colloquio personale di conoscenza e d’informazione.

In tali circostanze Toè era sempre presente: una presenza interessata e gioiosa. Seguiva le conferenze con attenzione ed entusiasmo. Aveva lo spirito aperto a tutto ciò che riguardava Dio e la religione e immancabilmente, alla fine del giorno di ritiro, passava da me per comunicarmi quello che l’aveva colpito maggiormente nella conferenza e nella liturgia del giorno. Aveva 19 anni, intelligente e brillante, pieno di entusiasmo per qualunque cosa buona o che in qualche modo facilitasse l’amicizia e la fraternità.

Entrò definitivamente nello scolasticato il 12 agosto 1987, dopo aver ottenuto il BAC (maturità) e l’orientamento alla facoltà di medicina. Per lui entrare da noi significava rinunciare alla possibilità di avere una borsa di studio per la medicina, ma lui si sentiva motivato a fare tale rinuncia. Mi ricordo che gli feci presente che il suo desiderio di diventare medico, non era escluso ma che a suo tempo doveva essere confrontato con le priorità della Delegazione Camilliana. Lui, pur esprimendo il desiderio di potersi mettere a servizio dei fratelli malati con la maggiore preparazione possibile, si rimise a quello che i superiori avrebbero deciso.

In quei giorni ebbe anche la visita del suo Vescovo – originariamente apparteneva alla diocesi di Naunà Dedougou – , che gli fece alcune proposte per averlo nel clero diocesano, ma lui rimase fermo nella sua decisione.

Durante all’anno di spiritualità (una specie di prenoviziato) durante il quale si sospendono gli studi previsti per la formazione sacerdotale per mettere l’attenzione sulla formazione cristiana – camilliana sia nella dimensione teorica che pratica. Benché lui fosse a livello di maturità e gli altri soltanto con il “brevetto” (un diploma equivalente alla vecchia licenza ginnasiale), egli non mostrò nessun sentimento di superiorità nei confronti dei suoi confratelli più piccoli, ma seguì le lezioni con attenzione e interesse, essendo di stimolo con le sue domande e riflessioni. D’altra parte, nella vita comunitaria fu sempre creativo nelle iniziative e uomo di comunione con gli altri, spontaneo e sincero.

Sono restato nella comunità dello scolasticato camilliano fino al primo settembre 1989 giorno in cui passai alla comunità “Juvenat St. Camille” per sostituire P. Palombaro Giovanni, rientrato in Italia gravemente ammalato. Nello stesso mese P. Toè cominciava il suo secondo anno del biennio filosofico nel Seminario maggiore interdiocesano di “Saint Jean Baptiste”, di Ouagadougou. In tal seminario lo ebbi come studente nel corso di Morale fondamentale. Il suo comportamento fu sempre ottimo e i risultati, a livello scolastico e umano, ugualmente. Se si parlava di lui era soltanto per dirne bene, perché soltanto bene si poteva dire.

L’anno successivo, il 6 settembre 1990 cominciò il noviziato ed ebbi ugualmente l’occasione di frequentarlo perché dal Juvenat andavo due giorni a settimana allo scolasticato per alcune lezioni formative ai novizi. Fu durante il noviziato che fu notato qualcosa nella sua salute che stava deteriorandosi. Si sentiva posseduto da una stanchezza continua che gli rendeva faticoso anche le più semplici attività. Da un’analisi di laboratorio risultò che aveva un’epatite “B”. Si mandò il suo sangue in Italia per un esame più approfondito e i risultati confermarono la risposta di Ouagadougou. Fu per questa ragione che dopo il noviziato (che aveva confermato il suo impegno eccezionale nella vita spirituale) il consiglio della Delegazione Camilliana Burkinalé decise di inviarlo in Italia ove avrebbe potuto continuare i suoi studi ed essere seguito con più mezzi nella salute.

A partire dal suo trasferimento in Italia, a fine anno 1991, i miei incontri con lui si fecero rari, ma fui sempre informato del progresso dei suoi studi e, purtroppo, della inguaribilità della sua malattia. Era seguito da un équipe di medici impegnati particolarmente nella ricerca scientifica della cura dell’epatite e Toè fu trattato con medicine ritenute efficacissime, ma sfortunatamente egli si manifestò allergico ad alcune di queste medicine di modo che, tra leggeri miglioramenti e ricadute restò malato per tutti i sei anni che ancora visse.