San Camillo de Lellis che salva i malati durante le inondazioni del Tevere nel 1598

Olio su tela, cm 205×280. Firmato e datato in basso a destra, sulla stanga della lettiga di un malato: “P. Subleyras Pinx, 1746”. Roma, museo di Roma.

Nella notte tra il 23 e il 24 dicembre 1598, le acque del Tevere in piena invasero l’Ospedale Santo Spirito di Roma. Camillo de Lellis abbandonò in tutta fretta il convento per accorrere in soccorso dei malati. Invano il personale dell’Ospedale, convinto che le acque del fiume non avrebbero superato un certo livello, tentò di opporsi a Camillo che voleva sgombrare le camerate dei malati. Durante tutta la notte, aiutato dai religiosi del suo ordine, si prodigò a trasportare gli infermi al piano nobile dell’ospedale. Quando tutti furono in salvo, le acque del Tevere inondarono gli ambienti evacuati.

Il quadro, che rappresenta questo drammatico momento, fu commissionato dai Camilliani in occasione della canonizzazione del fondatore, il 29 giugno 1746, ed offerto a papa Benedetto XIV (Il quadro e uno stendardo da processione furono pagati 500 scudi come si legge in una nota del 6 luglio 1746 nel libro delle uscite per le spese di canonizzazione, AGMI 77).

Realizzato in pochi mesi dal Subleyras, fu consegnato ai camilliani che lo fecero trasportare al Quirinale. Successivamente il Papa lo donò al suo primo maggiordomo, Girolamo Colonna, poi cardinale. Infine, Il dipinto, fu acquistato nel 1960 dal Museo di Roma – Palazzo Braschi.

L’artista, nella sua opera, riesce ad idealizzare la realtà del momento drammatico, rendendola poetica grazie alla raffinatezza e alla delicatezza delle sue ricerche cromatiche: il rosso della croce che appare in alto a sinistra, il bianco del grembiule e il nero della sottana del santo, il rosso vivo del berretto del malato e del gilè dell’uomo che porta il vasellame oltre all’armonia dei grigi. Riesce così a trasfondere nella tela tutti sentimenti di misericordia e partecipazione alla sofferenza umana propri del santo (Subleyras 1699-1749. Ed. Carte Segrete – Roma pp. 307-313).