Fratelli d’Ebola! L’impatto dell’epidemia sulla popolazione in Sierra Leone

Famiglia in quarantena

Famiglia in quarantena

A parte i decessi registrati in tutta la Sierra Leone, le scuole a tutti i livelli nei cinque distretti sono chiuse a tempo indeterminato. In queste aree, i programmi scolastici sono diffusi via radio e sono utilizzati per almeno un’ora al giorno nelle scuole primarie e secondarie: questo permette di garantire un minimo di continuità educativa, senza il contatto fisico degli studenti. La chiusura delle scuole ha portato, come conseguenza,  il mancato pagamento del salario per la maggior parte degli insegnanti e per tutto il personale scolastico.

Alcuni ospedali pubblici e privati sono chiusi, tranne il reparto ambulatoriale, nel tentativo paradossale di ridurre  la causa della contaminazione con il virus. Le persone stanno perdendo la fiducia nelle strutture ospedaliere e preferiscono curarsi a casa. Il risultato è l’aumento di persone morte non a causa di Ebola, ma a motivo di altre infezioni endemiche.

Cinque sono i distretti completamente isolati, la mobilità è consentita solo dalle 9:00 alle 17:00. Questo ha avuto un grande impatto sull’economia nel suo complesso. Le persone non possono trasportare i loro prodotti – soprattutto generi alimentari di primaria necessità –  perché non tutti i veicoli pubblici garantiscono il servizio e i veicoli privati ​​hanno bisogno di un permesso speciale.

Anche le famiglie in quarantena sono isolate. Le case sono transennata e presidiate dai militari. A nessuno è permesso di uscire dal perimetro. Non potendo lavorare durante la quarantena le persone non guadagnano. I visitatori e i vicini di casa sono autorizzati a entrare in contatto con loro ad una distanza prescritta (oltre 2 metri). Tuttavia, molti per paura, evitano anche questo contatto minimale.

Quindi sono praticamente incommunicados. Sebbene il periodo di quarantena sia stato fissato, a livello scientifico,  a 21 giorni, per alcuni casi sospetti di infezione, il periodo si è prolungato fino a 3 mesi, dal momento che durante questo periodo di isolamento avevano avuto dei contatti con qualcuno dei familiari che presentava dei sintomi.

Le forniture di beni di prima necessità ( alimentazione ed igiene) sono quantificate su base regionale ma la quantità non è sufficiente. Durante i 21 giorni di isolamento sono distribuiti: riso, cipolle, carne di pollo, la manioca e prodotti non alimentari come kit per l’igiene, utensili da cucina, kit per dormire (uno per ogni membro della famiglia).

Molti bambini sono diventati orfani, dal momento che i loro genitori e parenti sono morti a causa di ebola. Una famiglia infetta in un villaggio di Binkolo, Makeni, ha perso 17 membri in un arco di due settimane. I bambini sono stati messi in una struttura di  raccolta e sono tenuti sotto osservazione. Coloro che sono risultati negativi al virus sono stati sistemati presso il centro e posti  sotto la cura di un assistente sociale. Non sono autorizzati a tornare a casa mentre i loro parenti ne reclamano la cura e la custodia contravvenendo alle decisioni del governo che stabilisce l’invio degli orfani in orfanotrofio.

C’è una buona percentuale di sopravvissuti (781 al 28 ottobre) che è del 21%. Essi sono stati riabilitati e rimandati nelle loro comunità con i documenti di rilascio adeguati. E ‘stato stabilito che ogni superstite ha  zero possibilità di infettare e può ritenersi immune al virus. Anche il loro sangue è stato utilizzato per la trasfusione su altri soggetti infetti. Tuttavia, il loro ritorno a casa provoca paura nelle persone della comunità, proprio come la stigma che i lebbrosi nei tempi antichi portavano sulla loro pelle. L’isolamento prima e il rifiuto comunitario poi mette a dura prova lo spirito e l’equilibrio mentale di queste persone, con il rischio di indebolirne le difese ed esporle ad altri infezioni o traumi.

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Momento di preghiera di una famiglia in quarantena

Il personale medico è esposto ad un alto rischio di contagio. Molti di loro sono morti con l’insorgere precoce di Ebola. Sono diverse le ragioni di queste morti in ambito sanitario: la violazione dei protocolli di sicurezza nelle procedure mediche; la mancanza di un screening precoce delle persone ipoteticamente infette prima che entrino nei locali dell’ospedale stesso dove già ci sono altre tipologie di malati; la mancanza di attrezzature di protezione individuale; l’assenza di una preparazione adeguata e di una conoscenza dei protocolli specifici per le malattie infettive.

D’altra parte, con la chiusura della maggior parte degli ospedali, molti operatori sanitari per paura sono assenti chiedendo il periodo di ferie; e tutti comunque sono senza stipendio. Molti di loro hanno paura anche di tornare in ospedale. Coloro che comunque sono rimasti a lavorare in ospedale (questo è il caso dell’ Holy Spirit Hospital di Makeni) sono atterriti dalla paura e questo rende meno efficacie la qualità del loro servizio. Hanno bisogno di sostegno umano e psicologico come ad esempio corsi di formazione e di training su i nuovi protocolli anche con l’accompagnamento da parte di esperti.

I membri della Chiesa (sacerdoti, religiosi e laici) sono particolarmente provati a livello psicologico. Hanno ammesso di avere paura. Alcune congregazioni  hanno chiuso la loro missione temporaneamente. Tuttavia, molti continuano loro battaglia contro la diffusione di Eebola. La diocesi di Makeni comprende sei distretti su 15 in Sierra Leone. La maggior parte di questi quartieri sono stati pesantemente colpiti dall’epidemia. La diocesi ha attivato una Diocesan task force (DTF) come risposta a Ebola. E’ composta da GPIC, Caritas Makeni, Unimak (università), Holy Spirit hospital e altri religiosi. Fino ad ora, la DTF ha raggiunto il suo primo obiettivo, vale a dire, la mobilitazione delle parrocchie e l’organizzazione di propri gruppi di lavoro. La DTF ha tenuto seminari (prevenzione, la mobilitazione, la sorveglianza e il monitoraggio) in 25 parrocchie, per la formazione di parroci e dei leader della comunità.

Essi, in appoggio all’azione del governo, hanno inoltre distribuito prodotti alimentari e beni di prima necessità  per le famiglie in quarantena. Ci sono ovviamente delle lacune organizzative: il sostegno finanziario a livello parrocchiale, la capacità organizzativa, la gestione dei progetti, il monitoraggio delle attività, la mobilitazione dei volontari e la struttura logistica (trattamento dei materiali, l’organizzazione dei trasporti e la distribuzione delle forniture).

Continua…

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In copertina una foto inviata da Anita Ennis, vice presidente FCL inviata a Mekeni. Nella foto la lavanderia dell’ospedale Holy Spirit