Umberto Fontana – Voti “perpetui”?

4di: Bruno Scapin

Che questo libro sia stato scritto da uno che “ha le mani in pasta” lo si capisce dalla concretezza delle analisi e dalla precisione delle diagnosi. Lo si evince anche dal coraggio di affrontare un tema in parte inedito, riassumibile nella domanda: è possibile – e come – nell’odierno contesto “liquido” proporre e vivere quegli impegni della vita consacrata che sono i voti “perpetui”? Le vocazioni subiscono inevitabilmente i condizionamenti culturali del tempo. Cosa significano per un giovane di oggi parole come obbedienza, povertà e castità? L’autore, presbitero salesiano, psicanalista, psicologo e psicoterapeuta, affronta l’argomento dal punto di vista strettamente culturale e psicologico. Non è, questo, un libro di spiritualità, anche se tratta di scelte attinenti alla vita di consacrazione. Sviluppa piuttosto i meccanismi psichici che condizionano “l’umano” del consacrato. Scrive Fontana: «Chi entra nella vita consacrata oggi non è nelle stesse condizioni psicosociali di chi è entrato nei decenni passati», eppure non tutte le istituzioni «si sono accorte dei cambiamenti avvenuti e continuano a proporre ai giovani di oggi il loro carisma come se fossero ancora ai tempi della fondazione». Con il risultato che le modalità con cui oggi viene formulata la proposta vocazionale «non è più accettabile per i giovani che provengono da una società notevolmente cambiata». Logica conseguenza è che comporre il carisma fondativo di un istituto con i tempi cambiati costituisce «la vera sfida» per quanti parlano oggi di «voti di consacrazione (temporanei o perpetui)». È proprio la disanima dei voti religiosi alla luce della mutazione dei tempi a evidenziare

la necessità di un approccio diverso, più articolato e consapevole. La sostanza della consacrazione religiosa espressa attraverso i voti non cambia, ma va rapportata consapevolmente alla cultura dei giovani d’oggi. Come presentare ad un giovane il voto di obbedienza, quando tutto il contesto in cui è vissuto (famiglia, scuola…) gli ha parlato della necessità di “fare carriera nella vita”? Come presentare il voto di povertà a chi entra in un cammino di vita di consacrazione dopo che ha esercitato un lavoro retribuito o che è stato abituato a gestire in proprio tempi e risorse? Certo, non è impossibile, ma non bisogna ignorare queste nuove sensibilità. Piuttosto occorrerà verificare che coloro che chiedono di intraprendere un cammino di consacrazione abbiano raggiunto un certo grado di “adultità”, che abbiano cioè superato quell’immaturità che vive di entusiasmi e di gratificazioni rapide. Una volta entrato a far parte di una famiglia religiosa, l’autore suggerisce una ricetta sempre nuova e sempre antica perché il consacrato perseveri nella “chiamata”: rimotivare la propria scelta, perché «non c’è “crisi” finché i valori motivazionali di una qualunque persona reggono». Le ultime pagine riguardano l’anziano nella vita religiosa, i suoi problemi, la scoperta dei propri limiti ma anche delle possibilità che ancora gli rimangono. Per invecchiare bene – suggerisce l’autore – bisognerebbe applicare lo slogan ritiro dalle attività = intensificazione dell’ascetica personale. Questo libro, che si legge con vivo interesse e partecipazione, non dovrebbe mancare sulla scrivania di chi oggi è chiamato al difficile compito del discernimento e dell’accompagnamento vocazionale.