Visitare gli infermi – Pierre Subleyras

saints7-8Visitare gli infermi – Pierre Subleyras dal Catalogo La misericordia nell’arte, Itinerario giubilare tra i Capolavori dei grandi artisti italiani, a cura di Maria Grazie Bernardini e Mario Lolli Ghetti, Gangemi Editore, Roma, 2016

Pierre Subleyras (Saint Gilles du Gard 1699 – Roma 1749)
San Camillo de Lellis mette in salvo gli ammalati dell’ospedale di Santo Spirito in Sassia durante l’inondazione del Tevere del 1598

1746 Olio su tela, cm 172×248

Con il decreto del 14 aprile 1741 Benedetto XIV riorganizzava i criteri delle spese per i processi e le cerimonie delle beatificazioni e canonizzazioni dei santi ridimensionando gli sprechi e il malcostume della curia. La riforma rivedeva in dettagli anche i contenuti e il numero dei dipinti che secondo la consuetudine, spettavano di diritto come dono ai vari cardinali coinvolti nel processo e al papa. In particolare, in occasione della cerimonia di canonizzazione, veniva stabilito che si desse al pontefice un grande dipinto raffigurante “o un miracolo o la gloria del santo, o alcuna virtù da esso esercitata”.

Nel 1746, mentre si preparava la solenne canonizzazione di Camillo de Lellis, l’Ordine dei Camilliani, nel rispetto delle prescrizioni, si preoccupò di commissionare un dipinto da donare a Benedetto XIV. La grande tela, eseguita da Pierre Subleyras nello stesso anno, oggi al Museo di Roma, raffigura il santo che si prodiga per mettere in salvo gli ammalati dell’ospedale di Santo Spirito in Sassia durante l’inondazione del Tevere nella notte del 23 dicembre 1598. L’opera testimonia l’adesione alle disposizioni liturgiche e cerimoniali della chiesa dell’epoca e, insieme, riflette il clima culturale e artistico del pontificato Lambertini.

L’autore, formatori a Tolosa alla scuola di Antoine Rivals e stabilitosi in Italia come pensionnaire dell’Accademia di Francia dal 1728, è una figura emblematica del cosmopolita ambiente artistico romano dei primi decenni del secolo. Originale interprete della componente classicista dell’arte europea di quegli anni, Subleyras era stato accolto e apprezzato nella capitale conquistando incarichi prestigiosi, come il ritratto ufficiale di Benedetto XIV, del 1740, o La messa di San Basilio destinata alla basilica di San Pietro, del 1744 (attualmente Roma, S. Maria degli Angeli).

Nel dipinto per i Camilliani l’artista concepisce un’immagine di grande efficacia pedagogica e promozionale, interpretando a pieno lo spirito del magistero di Camillo, celebrato dai biografi come vir misericordiae. Il santo, vissuto nella seconda metà del Cinquecento, aveva dedicato la vita alla cura degli ammalati e aveva promosso, in controtendenza con gli orientamenti delle gerarchie cattoliche, il ruolo essenziale dei religiosi nell’assistenza materiale degli infermi ottenendo, nel 1586, l’approvazione papale per la fondazione dell’Ordine dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi, detti anche Camilliani.

San Camillo de Lellis (8)La drammatica scena del salvataggio è descritta da Subleyras entro le coordinate di una composizione equilibrata, scandita dai gesti controllati e dalle espressioni prive di enfasi dei personaggi rappresentati che rivelano la riflessione sui modelli della tradizione italiana. L’artista francese rielabora iconografie collaudare come quella delle deposizioni di Cristo di Annibale Carracci per il malato seminudo, sdraiato su una barella, sulla destra della scena, oppure dell’Enea e Anchise di Federico Barocci (Galleria Borghese, Roma) per la figura di Camillo con un malato sulle spalle, sulla sinistra. Questa trama di rifermenti, l’idealizzazione dei tipi e la nobilitazione degli affetti contribuiscono alla trasfigurazione eroica delle virtù terrene di abnegazione per i più deboli che avevano caratterizzato l’esistenza del protagonista. D’altro lato la sensibilità naturalistica di Subleyras emerge nella straordinaria natura morta del cesto in primo piano. Con il disordine dei miseri resti di cibo, stoviglie e stracci, sorretto e quasi ostentato dalle robuste braccia di un servitore secondo un modulo ricorrente per la rappresentazione dei doni nelle scene di pittura sacra del Cinquecento, il cesto costituisce il fulcro figurativo e simbolico del dipinto, allusione a una realtà di sofferenze e allegorie della caducità umana, in sintonia con il significato attribuito tradizionalmente alla natura morta in ambito nordico.

La scena del salvataggio si svolge in un ambiente che evoca la quattrocentesca corsia sistina, unico e malsano ambiente di degenza preesistente alla ristrutturazione dell’ospedale di Santo Spirito voluta da Benedetto XIV e in corso di realizzazione in quegli anni. Il dipinto celebrava in questo modo anche l’opera pubblica più rilevante del pontificato Lambertini che, progettata da Ferdinando Fuga secondo criteri estremamente innovativi, rappresentò un primo tentativo di conciliazione tra le istanze di ortodossia curiali e quelle laiche della nascente scienza medica.

Rossella Leone