Avvenire – Curare il Malato come un fratello – 07/10/15

di Paolo Viana www.avvenire.it

In un convegno le testimonianze di un “nuovo umanesimo” in corsia

ASSISI

La mamma di Mustafà aveva consegnato agli scafisti milioni di franchi, la moneta dell’Africa occidentale, perché quel suo figlio adolescente avesse un futuro migliore. Ma, una volta arrivato in Italia, Mustafà ha scoperto di avere un cancro e neanche un soldo. «A San Giovanni Rotondo è stato curato – racconta Lucia Miglionico, oncologo pediatrico, impegnata da sempre nella pastorale familiare e in prima linea anche in quella della salute insieme al marito Giuseppe Petracca Ciaravella, anche lui medico alla Casa Sollievo della Sofferenza – e ha trovato una famiglia di camici bianchi e colorati che non l’ha mai abbandonato. Il nuovo umanesimo si forgia anche nel dolore di una corsia d’ospedale, se riesci ad accompagnare davvero il sofferente come un fratello » come ha spiegato ieri al XXXI convegno dell’Associazione italiana di pastorale sanitaria, in corso ad Assisi.

Mustafà è morto per un tumore al cervello, assistito dai medici dell’ospedale di padre Pio e da un imam. «La cosa più difficile è stato dirlo alla madre», ha confessato Lucia ai 350 delegati Aipas: cappellani ospedalieri, medici, sanitari e volontari che si affidano alla sapienza del cuore in un mondo che vive di protocolli e certezze scientifiche. Sfidandolo sul suo terreno: «Negli ultimi anni sono emerse le evidenze scientifiche dell’effetto benefico della preghiera nella cura di diverse patologie», conferma Giuseppe Petracca Ciavarella. Infatti, a Brescia, l’Università Cattolica e i Fatebenefratelli hanno avviato un corso di perfezionamento per operatori sanitari in accompagnamento spirituale del malato. «Soprattutto in psichiatria – spiega fra’ Marco Fabello dell’Ordine ospedaliero San Giovanni di Dio – l’umanesimo nuovo in Cristo va cercato non sul piano delle idee, ma nelle storie personali di sofferenza e di speranza e implica un percorso di maturazione dell’operatore e un’attitudine all’ascolto; insomma è molto impegnativo e interroga anche le istituzioni perché, come tutti sanno, le comunità di riabilitazione psichiatrica devono avere numeri e caratteristiche funzionali alla relazione, diversamente si ricreano i vecchi e aberranti manicomi».

Al convegno di Santa Maria degli Angeli ad Assisi – che si concluderà domani con l’intervento di suor Alessandra Smerilli e la celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo Domenico Sorrentino vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino – fra’ Marco ha portato alcuni pazienti dell’Irccs bresciano. «Obiettivamente solo in un contesto già educato al nuovo umanesimo come questo – ha spiegato – possono vivere il convegno come i delegati, anzi, passano proprio inosservati, seguono le relazioni come tutti noi, portano a casa una maggiore consapevolezza del progetto di cura e di vita in cui sono inseriti».

A dispetto dell’alto tasso tecnico, nel mondo sanitario alcune dimensioni del nuovo umanesimo sono già presenti, a partire dall’ascolto che si fa relazione. «La mia azione pastorale non è mai preconfezionata – ammette Giovanni Farimbella, frate minore, che opera presso l’Ospedale civile di Brescia –, ma implica un’ascesi come preparazione personale e la capacità di ammortizzare il rifiuto, che non è raro, perché il momento della sofferenza è anche un momento di sconforto e di rabbia». Germano Di Pietro, cappuccino di Giulianova, avverte che l’ascolto è più difficile negli ospedali, dove i tempi per l’accompagnamento spirituale sono sempre più limitati. Lui opera anche nella Piccola Opera Charitas, che segue 200 disabili psichici. «La relazione scatta – racconta – quando la tua umanità viene percepita dal malato e ciò avviene se non imponi ma proponi. Quando e solo quando si è stabilita questa relazione puoi indicare la strada del nuovo umanesimo in Gesù Cristo». «Noi americani siamo concreti e allora il nuovo umanesimo è abbracciare chiunque, come fa papa Francesco, aver cura dell’uomo senza escludere neanche chi è fuori dalle nostre regole. Senza condizioni »: chi parla così è don Bernardo Blasich che nei suoi 89 anni di vita è stato profugo, soldato, barelliere a Lourdes, camilliano, sacerdote, cappellano militare e cappellano ospedaliero negli Usa. «Lo stile del Papa – essere nel cuore dell’uomo – non è un esercizio banale, in quanto significa passare da una realtà in cui io impongo la mia visuale a una realtà che accetto di vivere con il fratello»