Un’esperienza camilliana in Manipur, India

Manipur, stato indiano nord-orientale, è oggi profondamente ferito e la sua popolazione è dolorosamente divisa su linee etniche e comunitarie. Ho vissuto un’esperienza arricchente e toccante con la popolazione lacerata dalla violenza etnica scoppiata nello Stato qualche mese fa. Allo stesso tempo, come uno dei più giovani religiosi camilliani in India, considero un grande privilegio servire il popolo del Manipur con la CTF (camillian task force). In effetti, stavo aspettando una chiamata dal coordinatore della CTF per lavorare con il team e fare qualcosa per le vittime in tutti i modi possibili.
La tensione tra le tribù Meiteis e Kukis sta colpendo entrambe le tribù dal punto di vista fisico, psicologico, spirituale, sociale e finanziario. Siamo riusciti a concentrarci sugli aspetti fisici, mentali e finanziari delle persone colpite. La violenza etnica induce le persone ad abbandonare i propri beni e ad allontanarsi dai propri villaggi, per cui la maggior parte delle persone trova rifugio nei campi. Molti di loro hanno perso i propri cari, il lavoro, tutto ciò che avevano per vivere. I bambini hanno perso la scuola e quindi il loro futuro. Entrambe le tribù stanno cercando di proteggere la propria gente con le armi, con il risultato di continue violenze e ritorsioni.
La nostra équipe era composta da p. Siby Kaitharan, p. Jomin Vempenickal e nove religiose, tra cui medici e infermiere. Risiedendo nel distretto di Kongopi, abbiamo visitato i villaggi e i campi più colpiti per distribuire medicinali con la consulenza dei medici. Siamo riusciti a raggiungere più di 3.000 persone colpite. Anche se non sono un esperto di medicina, il mio aiuto è stato di supporto ai membri del mio team e ha facilitato il loro lavoro.
Lo stile di vita della gente, le loro abitudini alimentari e la loro cultura, i nostri lunghi e continui spostamenti nei villaggi remoti sono stati difficili per me, ma ho saputo affrontare queste esperienze con spirito missionario. Ho dimenticato la parola “stanchezza”, ma sono stato ampiamente ispirato dallo spirito di compassione di tutta l’équipe nel prendersi cura delle persone sofferenti. È stata un’opportunità per me di essere un vero camilliano e di esercitare il mio carisma di misericordia verso i sofferenti. È stata anche un’opportunità per me di imparare a gestire i disastri. Ho imparato a lavorare in gruppo. Ho capito che per lavorare in un contesto del genere devo uscire dalla mia zona di ‘comfort’ e dai miei “standard” di vita, e stare con i piedi per terra per capire e abbracciare i poveri e i sofferenti.

– p. Abin Kettupurackel, MI