Camillo e Francesco: madonna povertà

IMG_6214La famiglia francescana non conosce molti ranghi gerarchici. È composta di sorelle e fratelli. Alla povertà però è assegnato un appellativo particolare: è madonna; non è solo sorella come la luna o l’acqua. Ad essa va dato l’onore che il giullare con spirito cavalleresco rende alla persona amata. Francesco l’ha amata in modo radicale e s’è battuto per la sua integrità sostenendo le lotte più amare della sua esistenza. Vicino a lui si muovono “i mediocri”, che attaccarono il suo ideale. Sono prelati e dotti, provinciali e superiori, semplici frati che amano piantarsi in case ben costruite ed appropriarsene. Un conflitto analogo incontra Camillo quando p. Oppertis intente alleggerire il peso dell’assistenza dei religiosi negli ospedali. Il dilemma che si pone è duro: o salvare la purezza dell’ideale o la sopravvivenza dell’Ordine. La questione resta tuttora aperta. È più importante sopravvivere con il compromesso o scomparire da “puri”? Tanto Francesco che Camillo sia pur a malincuore si sono piegati all’inevitabile processo di codificazione del loro ideale, la loro felicità personale però non ha subito alcuna oscillazione.

La concezione della povertà francescana è talmente carismatica che difficilmente si presta ad essere estesa ad un gran numero di persone. Francesco vuole che i suoi siano “mendicanti” con tutte le conseguenze inerenti al senso del termine: distacco dal “potere e dominio”, vita di dipendenza dall’elemosina altrui, rinuncia ad ogni possesso di beni, abbandono dei familiari e abnegazione di sé stessi, rifiuto d’ogni precauzione nei viaggi, perfino del cavallo. Inviato per il mondo senza alcuna provvista, soprattutto del denaro, il frate si rende conto della sua condizione di mendicante. Davanti a sé non c’è niente di sicuro. Non sa se sarà ospitato o respinto, se troverà aiuto o meno, se mangerà o dovrà digiunare. Diversa è la vita di povertà del monaco chiuso nel suo convento e legato alla stabilitas loci.

Nello spostamento è proibito l’uso del cavallo. Il mendicante non si propone mete lontane. Il suo compito di evangelizzazione è tanto qua che là. L’interdizione però è giustificata con lo spirito di povertà. Legata al concetto di “mendicante” è pure la proibizione di stabilirsi in case di pietra per essere maggiormente simili a Cristo che non aveva dove posare il capo. L’abitazione solida potrebbe farci dimenticare la nostra condizione di essere pellegrini e forestieri che vivono affidati al rischio dell’elemosina. Francesco è conseguente a questa sua disposizione, tanto da ordinare ai suoi religiosi anche infermi di abbandonare una casa in pietra a Bologna e di demolirne un’altra costruita appositamente per il capitolo del 1221 a S. Maria della Porziuncola. Il frate è “hosper et viator”, non un “habitatoe”; tema questo che ha un peso determinante nella concezione antropologica di Bonaventura, il teorico del francescanesimo. L’abitazione dev’essere povera come una capanna, di legno e paglia, per non dare l’idea della stabilità.

Anche nell’elemosina il frate è invitato alla modestia. Può ricevere solo il necessario per sfamarsi e vestirsi, mai denaro, ritenuto pericoloso come un serpente ed ignobile come sterco. La regola lo permette per motivi eccezionali come nel caso sia richiesto per gli infermi; non è permesso invece riceverlo per distribuirlo ai poveri né in caso di compenso a prestazioni lavorative.

 Anche Camillo fedele alla sua vocazione di mendicante, continua a ribadire il suo rifiuto al denaro. Nelle prime regole, accanto al distacco da ogni possesso, dispone che “Nessuno ardirà d’aver denari”, il servizio ai malati sia reso “per puro amore di Dio, non per mercede”, “nessuno maneggi denari” negli ospedali, si rifiuti lasciti, “la povertà sia interamente conservata nella sua purità, nessuno possedendo cosa propria, massime in tener denari”. Nel testamento profetizza che “tanto si manterrà il nostro istituto quanto la povertà sarà osservata”. Respinge come inganno il pensiero di “non poter vivere di sole elemosine”. Dichiara: “preferirei dormire con un dragone che con

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Giotto, San Francesco rinuncia ai beni terreni, Assisi, Basilica superiore

del denaro”. Come mai questa ossessione del denaro? La povertà non è solo distacco del cuore, accompagnato magari da un sicuro possesso che impedirebbe di fatto di essere esposti alla precarietà. Essere poveri senza il rischio effetti e la reale rinuncia è una mistificazione. Per essere realmente poveri bisogna accontentarsi di quanto è richiesto all’istante: il cibo, la medicina, il vestito. Il cibo si consuma al momento, non si conserva a lungo; non così il denaro che è padrone del domani, crea sicurezza e soprattutto permetto l’appagamento facile senza fatiche dei propri desideri, è un po’ come la bacchetta magica di Mida che cambia i sassi in pane.

L’ispirazione della povertà, sia francescana, sia camilliana trae la sua linfa da Cristo che si fa in tutto uguale agli uomini ad assumere la condizione di schiavo. Come Dio nella persona di Cristo ha amato i crocifissi da crocifisso, i condannati da condannato, cosi il mendicante ama i poveri da povero. Cristo non è visto solo come via che sale al Padre ma anche come via che discende tra gli umili. Per questo, tra le feste, Francesco predilige il natale perché dal suo annuncio di spogliazione apprende il senso della povertà cristiana. Essa non consiste nel distribuire ai poveri ma nel vivere come loro

La povertà chiede il taglio degli affetti del sangue per essere di tutti: fanciulli, poveri, miseri, re e principi, lavoratori, contadini, servi e padroni, vergini, vedove e maritate, laici, uomini e donne, bambini, adolescenti, giovani, vecchia, ammalati, sani, piccoli e grandi. È più facile ad un uomo donare il proprio cuore ad una donna che vorarlo al servizio d’un gruppo di lebbrosi o di orfani. La povertà evangelica corregge gli affetti, insegna ad amare in forma distaccata. Essa perciò riconosce il suo opposto, più che nella ricchezza, nell’egoismo e nell’orgoglio. Per questo è un valore a servizio della carità e della comunione. Sia Camillo che Francesco drastici nei confronti del denaro, l’accettano poi quando si tratta di aiutare un infermo.

“Povero” è “sinonimo di “minore” nella sua accezione è implicita l’idea di servizio e carità, l’accettazione delle ingiurie e del disprezzo, la piena disponibilità all’accoglienza del regno di Dio, l’umiltà, il posto che si occupa nella vita comune, la modestia nel godimento dei beni. Francesco, “il minore di tutti i minori”, sospira scontento di fronte ad una mensa preparata accuratamente nel giorno di natale, perché non la ritiene confacente al mendicante che passa di porta in porta. “Le solennità del Signore sono più onorate con l’indigenza e la povertà”. “Minore” esprime un programma di rinuncia al prestigio. Accanto perciò a chi aspira a diventare il “più grande” c’è chi si propone di diventare il più piccolo: il minore. La croce + accettata con la sua insania. Francesco è un pazzo per amore della croce. “Il Signore mi ha rivelato che io fossi un pazzo nel mondo”.

Dalla povertà nasce il sentimento dell’umiltà che particolarmente Camillo, frate umile, ha assimilato ritenendosi “semplice e idiota”, “indegno della vocazione alla carità”, “peccatore, ignorante e ripieno di molti difetti”. Dopo aver fatto tutto il possibile pensa di non aver fatto niente. Non accetta d’essere ringraziato per il servizio reso e a chi si avvicina a lui con soggezione confessa di non essere nient’altro che un servo e per di più inutile.