IL PIANTO COME GRAZIA

Uscendo dalla nostra chiesa della Maddalena (Roma), alzando leggermente lo sguardo verso il lato sinistro della pittoresca piazzetta, all’angolo con via del Pozzo delle Cornacchie, si può scorgere un’edicola sacra molto curiosa.

Dentro un bell’ovale è ritratta la Maddalena, facilmente identificabile dai lunghi capelli sciolti che cadono fluenti sulle sue spalle (a ricordare – senza vergogna o paura di censura – la sua “nobile” ed antica professione) – come li ricorda il celebre passo evangelico (cfr. Gv 12,1-3) quando furono usati per detergere le lacrime/l’unguento/il balsamo nei piedi di Gesù – e sotto in un cartiglio marmoreo è riportata un’iscrizione latina facilmente decifrabile: “Magdala cum lacrymis fundens opobalsama vixit sic fortunae aegris pharmaca sumpta iuvant” che ci riporta invece all’altra celebre pericope evangelica delle lacrime versate dalla peccatrice (cfr. Lc 7,38).

Davanti alla chiesa dedicata alla “Maddalena”, dove sono custodite e venerate le spoglie mortali di san Camillo, patrono dei malati e di coloro che li curano e sopra un’antica farmacia – come testimonia una vecchia foto del rione – santa Maria Maddalena continua ad unire insieme le lacrime e il balsamo e forse … ad aiutarci a trasformare le prime nel secondo!

Il cuore della Maddalena è un sepolcro, dove l’amato è presente come morto e assente come risorto. Solo quando si sente chiamata per nome, esce dal suo lutto per entrare nella vita piena: le LACRIME SONO IL FILTRO ATTRAVERSO CUI VEDERE IL RISORTO, OSSIA LA VITA VERA!!

Il pianto come grazia, bontà e saggezza: con queste tre parole potrebbe essere sintetizzato l’intenso e struggente, anche se ancora incompleto, «magistero delle lacrime» di papa Francesco.

Ci sono stati 54 tra discorsi, messaggi, omelie, lettere, meditazioni quotidiane, angelus e udienze nei quali papa Francesco ha fatto un esplicito e diretto riferimento alle lacrime, alla funzione purificatrice del pianto o, più in generale, all’umana e insieme divina esperienza del piangere.

Il pianto è sempre e comunque il linguaggio non verbale di un cuore traboccante non solo di preoccupazione, impotenza e dolore ma anche, e soprattutto, di amore, fiducia e tenerezza.

Tutti gli uomini naturalmente piangono ma il saper piangere è grazia che appartiene solo a pochi: unicamente ai cuori ricchi di compassione, sensibili alle tragedie e alle esigenze della storia e in ardente e fedele ascolto della parola di Dio. «Abbiamo mai pianto?» (2 aprile 2013), «Chi di noi ha pianto?» (ripetuto ben cinque volte a Lampedusa l’8 luglio 2013), «Tu piangi?» (6 marzo 2014), «Io ho imparato a piangere?» (18 gennaio 2015), «Il pianto è nelle nostre preghiere?» (18 febbraio 2015): sono solo alcuni degli interrogativi attraverso i quali papa Francesco ha risvegliato i cuori dei credenti in Cristo dal torpore di una colpevole negligenza verso l’aurora di una sincera e urgente revisione di vita.

Mentre il pianto umanizza l’uomo, il non saper piangere viceversa sembra render l’uomo disumano. Anche «Dio piange» (4 febbraio 2014), Gesù piange, i personaggi presenti nelle pagine evangeliche piangono, i santi piangono, la Chiesa piange: l’uomo è chiamato a imparare esattamente da Dio e dalla Chiesa madre l’arte del pianto che lo rende più uomo. Ecco il paradosso che cocente appare emergere dal continuo rimando di papa Francesco all’incedere delle lacrime: mentre Dio sa piangere, l’«uomo globalizzato» diventa sempre più sterile e incapace di pianto (8 luglio 2013, 13 settembre 2014 e 18 gennaio 2015). Dio sembra così sfidare l’uomo in generale, e il cristiano in particolare, sul terreno che specificamente appartiene alla sua naturale dimensione: il piangere.

La ricchezza dell’esperienza del piangere si innesta nella plurisecolare tradizione della Chiesa, oltre che nella memoria viva e tagliente della parola di Dio: san Camillo (47 volte: lagrime)

Ecco ch’à similitudine d’un altro S. Paolo fù all’improviso assaltato dal Cielo con un raggio di lume interiore tanto grande del suo miserabil stato che per la gran contritione pareva a Camillo d’haver il cuore tutto minuzzato, e franto dal dolore, onde non potendo per la insolita commotione che sentiva in se stesso mantenersi piu à cavallo, come abbattuto dalla divina luce si lasciò cadere in terra nel mezzo della strada. Dove ingenocchiato sopra un sasso cominciò con insolito dolore, e lagrime che piovevano da gl’occhi suoi à piangere amaramente la vita passata. Dicendo con parole da molti singhiozzi interrotte 48: Ah misero et infelice me che gran cecità è stata la mia a non conoscere prima il mio Signore? perche non hò io speso tutta la mia vita in servirlo? perdona Signore, perdona a questo gran peccatore. Donami almeno spatio di vera penitenza, et di poter cavar tant’acqua da gl’occhi miei quanto bastarà a lavar le macchie, e bruttezze de’ miei peccati.

 

Le lacrime rappresentano la presa di coscienza della nostra situazione, che non stiamo piu’ dormendo, non siamo piu’ apatici, ed esprimono il profondo rimorso per l’abisso che esiste tra noi e Dio. Queste lacrime non sono espressione di disperazione, ma sono un dono del Signore. Con la nostra rinnovata consapevolezza di essere peccatori, siamo in grado di prendere la mano che il Signore ci tende. Attraverso le lacrime, possiamo vedere il Signore che viene verso di noi. Le lacrime sono la via per riconoscerci come peccatori amati dal Signore che va in cerca delle pecorelle perdute, per le quali il Padre misericordioso ha dato suo figlio.

Nel vangelo, cio’ che distingue Simon Pietro da Giuda Iscariota non e’ il fatto che uno e’ santo e l’altro e’ un peccatore. E’ vero che Giuda ha tradito Gesu’. Ma anche Simon Pietro nego’ di conoscerlo e lo abbandono’ e in questo modo anche lui lo tradi’. Nella situazione di peccato, la differenza tra i due e’ che Giuda si e’ impiccato e in questo atto di disperazione si e’ rinchiuso nel suo peccato esprimendo la sua incredulità nella possibilità del perdono. A differenza di lui, Simon Pietro al sentire il gallo cantare scoppio’ a piangere: “Allora Pietro si ricordo’ di quella parola che Gesu’ gli aveva detto: “Prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai per tre volte”. E scoppio’ in pianto” (Marco 14,72). Sono le lacrime di Simon Pietro che fanno la differenza tra lui e Giuda.

«A volte, nella nostra vita gli occhiali per vedere Gesù sono le lacrime». Sono le parole che ha scelto papa Francesco per commentare il Vangelo secondo Giovanni proposto dalla liturgia del Martedì dell’Ottava di Pasqua che ci parla dell’incontro di Cristo risorto con Maria di Magdala.
«Maria di Magdala – ha osservato – è quella donna peccatrice che ha unto i piedi di Gesù e li ha asciugati con i suoi capelli, una donna sfruttata e anche disprezzata da quelli che si credevano giusti». Ma è anche la donna – ha scandito Francesco – «della quale Gesù ha detto che ha amato molto e per questo i suoi tanti peccati le sono stati perdonati».
«Tuttavia, questa donna ha dovuto affrontare il fallimento di tutte le sue speranze». Gesù, «il suo amore non c’è più. E piange. E’ il momento del buio nella sua anima: del fallimento». Eppure, osserva il Papa: «Non dice: “Ho fallito su questa strada”». «Semplicemente, piange».

«A volte, nella nostra vita gli occhiali per vedere Gesù sono le lacrime». Adesso, la Maddalena annuncia questo messaggio: “Ho visto il Signore”. L’aveva visto durante la sua vita e ora ne dà testimonianza: «Un esempio per il cammino della nostra vita. Tutti noi, nella nostra vita, abbiamo sentito la gioia, la tristezza, il dolore ma nei momenti più oscuri, abbiamo pianto? Abbiamo avuto quella bontà delle lacrime che preparano gli occhi per guardare, per vedere il Signore?».

«Di fronte alla Maddalena che piange – ha detto ancora Papa Francesco – possiamo anche noi domandare al Signore la grazia delle lacrime. E’ una bella grazia … Piangere per tutto: per il bene, per i nostri peccati, per le grazie, per la gioia, anche». «Il pianto ci prepara a vedere Gesù. E il Signore ci dia la grazia, a tutti noi, di poter dire con la nostra vita: “Ho visto il Signore”, non perché mi è apparso, ma perché “l’ho visto dentro al cuore”. E questa è la testimonianza della nostra vita: “Vivo così perché ho visto il Signore”». 21