Per vino nuovo otri nuovi. Dal Concilio Vaticano II la vita consacrata e le sfide ancora aperte

dvddvdasdasdQuesto nuovo volume (Libreria Editrice Vaticana, 2017) contiene le riflessioni emerse nel corso della Plenaria che la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica ha tenuto dal 27 al 30 novembre 2014 sul tema: «Vino nuovo in otri nuovi. La vita consacrata a 50 anni dalla Lumen gentium e da Pefectae caritatis». È stata rivolta l’attenzione al cammino compiuto dalla vita consacrata nel post-Concilio, cercando di leggerne in sintesi le sfide rimaste ancora aperte.

Tali Orientamenti sono anche il frutto di quanto emerso a seguito dei numerosi incontri che nel corso «dell’Anno della vita consacrata hanno visto convergere a Roma, presso la Sede di Pietro, consacrate e consacrati provenienti da ogni parte del mondo» (pag.7).

Il Magistero della Chiesa, a partire dal Concilio Vaticano II, ha sempre accompagnato la vita delle persone consacrate anche attraverso grandi coordinate di riferimento e di valore come: «le Istruzioni Potissimum institutioni (1990), La vita fraterna in comunità (1994), Ripartire da Cristo (2002), Il servizio dell’autorità e l’obbedienza. Faciem tuam (2008), e Identità e missione del Fratello religioso nella Chiesa (2015)».

L’obiettivo di questi orientamenti è quello di fare anche una verifica dei 50 anni che ci separano dal Concilio Vaticano II, una sosta per discernere la qualità e la stagionatura del vino nuovo prodotto con la lunga stagione di rinnovamento post-conciliare e per valutare la conformità e la coerenza delle forme istituzionali presenti nella vita consacrata.

Il documento parte da una affermazione di Cristo: «Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi» (Mc 2,21-22). In questa espressione Gesù mette in guardia i suoi discepoli contro la tentazione di voler armonizzare nella propria vita la freschezza e la vitalità del messaggio di Gesù con la vecchia mentalità dominata dalla giustizia che non è certamente quella di Gesù. Mette in guardia contro le tendenze farisaiche sorte anche nella primitiva comunità cristiana, che rischiavano di snaturare il messaggio profondo del Vangelo basato sulla legge della libertà, sulla verità che ci fa veramente liberi. Gli otri secchi e rigidi, le strutture antiche non possono contenere la forza del buon vino, nuovo, che non è altro che l’annuncio gioioso e frizzante del Vangelo.

Il Signore si pone in aperta e critica distanza verso le istituzioni dell’antica alleanza e chiede ai suoi discepoli di aprirsi alla novità del Vangelo che è lui stesso. Questa è la tentazione anche per la vita consacrata: essa è posta oggi davanti le sfide della fedeltà creativa, della vocazione profetica che la caratterizza e la rende significativa nella chiesa e nel mondo, di fronte alla ricerca appassionata della conformità con il Signore, di fronte alle difficoltà del periodo delicato e duro che stiamo vivendo; di riprodurre con coraggio l’audacia, la santità e la creatività dei nostri fondatori. La vita consacrata non deve cedere alla tentazione di strappare ad un vestito nuovo una pezza per rattoppare un vestito vecchio o di gettare vino nuovo in otri vecchi.

Non è possibile conciliare il vino nuovo dei nostri carismi con le strutture obsolete che non soltanto non manifestano la loro bellezza e freschezza, ma tante volte li rendono invisibili o quanto meno molto confusi. I nostri carismi richiedono apertura mentale per immaginare modalità di vera sequela di Cristo, profetica e carismatica. Se vogliamo che i nostri carismi rimangano attuali e la nostra vita di consacrati parli ai nostri contemporanei, la nostra stessa vita e i nostri carismi devono trovare strutture istituzionali nuove.

In questi 50 anni trascorsi dal Concilio Vaticano II, la vita consacrata ha cercato di abitare gli orizzonti conciliari con passione ed audacia esplorativa, soprattutto per quel che riguarda le strutture di governo e le strutture di formazione. Il cammino deve continuare in un’epoca di grandi trasformazioni. Le strutture attuali stanno realmente al servizio della vita e della missione dell’istituto o piuttosto è la vita che sta al servizio delle strutture?

La VC deve domandarsi se non sta cedendo alla tentazione di rattoppare un vestito vecchio con del panno nuovo; deve domandarsi se non sta consumando le energie più valide nella continua gestione delle emergenze sempre più costringenti.

Rimane sempre la tendenza ad una gestione dell’autorità in chiave di accentramento verticistico scavalcando la necessaria sussidiarietà (n. 19). Ciò può influire (n. 21) nelle situazioni di abbandono della vita consacrata. Diventa urgente praticare la spiritualità di comunione e la logica del Vangelo che ci chiede di metterci a ‘lavare i piedi’ dei nostri fratelli e sorelle.

È urgente cambiare i modelli relazionali, in questo caso, tra chi esercita il servizio dell’autorità e di chi è chiamato ad obbedire, pur formando la stessa famiglia! Non ci possono essere caste tra di noi e tutti noi siamo fratelli: questa è la legge universale del Vangelo, la nostra regola suprema di vita.

Va rivista la vita fraterna in comunità (n. 22-28), i nuovi itinerari formativi dei giovani, per una sempre migliore integrazione tra la visione teologica e quella antropologica, con una rinnovata pedagogia educativa, per una crescita armonica tra la dimensione spirituale, culturale ed umana. Si deve evitare qualunque improvvisazione, qualunque formazione intellettuale separata dalla formazione alla sequela di Cristo (evitare di formare ‘mostri’).

In sostanza, la vita consacrata è chiamata alla parresia, alla creatività, alla conversione delle strutture, a recuperare la bellezza dell’essenziale nella vita, ad assumere la novità del Vangelo, a cambiare le cose secondo la legge del Vangelo, ad abbandonare strutture ormai caduche e inutili e a prendere gli ‘otri del Vangelo’. È il momento di fare il punto della situazione sul vino nuovo e sugli otri che lo devono contenere, seguendo la ‘bussola’ del Vaticano II per il presente e per il futuro della vita consacrata, ripensandone gli obiettivi, le strutture, lo stile, il metodo.

Per vino nuovo otri nuovi si colloca nella linea «di un esercizio di discernimento evangelico, nel quale si cerca di riconoscere – alla luce dello spirito – quell’“appello” che Dio fa risuonare nella stessa situazione storica: Anche in essa e attraverso di essa Dio chiama».

Nella vita consacrata oggi emergono tante domande: siamo in una stagione di cambio; quello che è il deposito della nostra storia ha bisogno di qualcosa di più, soprattutto nel capire chi siamo come consacrati e come ci inseriamo nella società e nella chiesa.

Siamo in un cambio di epoca: un cambio di mezzi e di sensibilità umana dove la cultura stessa prende nuove dimensioni. Non basta più quello che ci è stato dato dalla tradizione e dalla storia: sentiamo la necessità di un nuovo inizio.

La grande ‘parola’ di questo momento è la parola riforma (cfr. opera e parola di papa Francesco): siamo in un momento di riforma e al centro di questa riforma c’è la persona di Cristo, quello che ha fatto il divino per entrare nell’umano e l’umano per andare verso il divino, per poter realizzare il suo progetto iniziale. Questa riforma dev’essere capita come un tornare alla ‘forma di Cristo’ e questo suppone che molte volte noi siamo anche usciti dalla forma di Cristo.

Abbiamo imparato a vivere con due valori contrapposti: un vero valore – il seguire Gesù – e l’altro un controvalore che è la mondanità nella vita consacrata. Ora dobbiamo vivere questo momento di purificazione e di conversione. Sono cammini quelli che stiamo vivendo che rivedono e riassumono il passato in modo nuovo; sono anche cammini nuovi perché Dio si rivela come perenne novità.

Sono luci trinitarie che illuminano prima di tutto la persona e dopo la comunità: siamo in un percorso di cambiamento in cui persona e comunità hanno bisogno di luce nuova e questa luce è il grande mistero del Padre-Figlio-Amore. Questo mistero trinitario ricrea in noi quella forma ed immagine di Dio-relazione con cui siamo stati creati.

Come tale siamo chiamati, come consacrati, a rivedere il nostro stesso concetto di ‘persona’ rispetto alla cultura attuale che accentua l’individuo autonomo, che guarda se stesso in modo autoreferenziale: dobbiamo ripartire dalla persona che è fatta di relazioni che naturalmente in Dio è portata a creare la comunità nel segno della reciprocità, dell’accoglienza continua, nel segno del Vangelo e dell’umanità di Cristo. Questo cambiamento ci sta portando alla revisione profonda dell’esperienza di Dio in noi: dall’individuale al comunitario, allo stare insieme; dall’umano all’umano-divino. Il cammino è quello di diventare più coerentemente discepoli di Gesù: è una conversione del cuore per trasformare soprattutto i nostri rapporti: siamo caduti nella solitudine, nell’isolamento perché abbiamo perso la dimensione del rapporto, perché l’altro non era più stimato parte integrante della nostra spiritualità; noi siamo diventati il centro di tutto. Anche papa francesco ci dice che per andare alla periferia è necessario prima uscire noi stessi dal centro e mettere Dio al centro.

È un momento di grande responsabilità per noi consacrati: anzitutto per collocarci con coerenza nel momento attuale della storia della chiesa e dell’umanità e per dare a quelli che verranno dopo di noi non qualcosa che ‘muore’ – come sta accadendo in molte nostre comunità – ma un’apertura verso qualcosa di vivo e di vitale perché il Signore continua ad amare il suo popolo.

gf