Lo spirito di abnegazione

I PRELUDIO: Vedi ancora Camillo sulla via di Manfredonia, che promette fermissimamente di lasciarsi piuttosto tagliare a pezzi che commettere un solo peccato veniale.
II PRELUDIO: Date anche a me, o Signore, una tale fermezza di volontà nel bene, che resista a tutti gli allettamenti della colpa.

PRIMO PUNTO ― Quella parola di Camillo: non più mondo, non più mondo! equivaleva a quell’altra dell’Apostolo: Il mondo è crocifisso per me, ed io pel mondo. Camillo infatti rompe tosto ogni legame col mondo, e s’allontana da esso col corpo e con lo spirito. Veste l’abito di Cappuccino, e ricusa persino di aspirare al sacerdozio, per vivere sconosciuto a tutti nell’umiltà e nel lavoro.
Vedi, anima mia, quanto siano diversi gl’impulsi della grazia da quelli della natura. Tutti cercano il bene ma non tutti il vero bene: la natura lavora sempre per sé e quando sembra servire agli altri studia il guadagno che ne può ricavare. La grazia invece cammina semplicemente, non conosce doppiezza né inganni, e tutto fa per piacere a Dio. La natura ama l’ozio, ama il riposo, teme i disprezzi, accetta gl’inchini; la grazia invece abbraccia volentieri la fatica, si rallegra nel soffrire pel nome di Gesù e a Dio fedelmente attribuisce ogni onore. La natura cerca sempre di possedere cose belle e curiose; ma la grazia si diletta delle cose umili, non disprezza le aspre, né ricusa indossare delle logore vesti… Oh, la grazia è veramente un gran dono di Dio, un lume soprannaturale, un pegno della vita eterna: ma sai tu come si acquista, anima mia? Col resistere alla corrotta natura: quanto natura amplius premitur et vincitur, tanto maior gratia infunditur et cotidie novis visitationibus interior homo secundum imaginem Dei reformatur (Kemp. III,54).

SECONDO PUNTO — Considera, anima mia, quant’era grande la rinuncia di Camillo a tutti i beni del mondo mentre era pronto a «lasciarsi tagliare a pezzi » piuttosto che commettere un peccato veniale deliberato.
Eppure è questo, né più né meno il dovere d’ogni cristiano. Non v’è cristiano al mondo, né vi può essere, che posto nell’alternativa o di offendere Iddio con un peccato veniale, o di soffrire ogni più grave tormento, sia libero di preferire l’offesa di Dio: il peccato è sempre un male più grande d’ogni altro male. Vorresti tu lamentarti quasi Iddio sia troppo severo nell’esigere un’obbedienza così assoluta?
Il tuo lamento non sarebbe giusto; no perché Iddio previene col suo aiuto la nostra debolezza, e nessuno mai pecca se non resistendo all’impulso della sua grazia: juste instat praecepto qui praecurrit auxilio (San Leo – Serm. 16 de Pass.). Richiamati alla memoria, anima mia, se mai ti avvenne di commettere un peccato veniale deliberato…: tu ricordi il rimorso della coscienza, la lotta che dovesti opporre alla buona ispirazione… Tu certo sentivi allora che potevi resistere alla tentazione: sì, lo potevi,… e non l’hai voluto!

TERZO PUNTO ― Camillo dal giorno della sua conversione visse in questo modo come un pellegrino che aspira alla patria. Egli soleva paragonarlo a una «camera locanda in cui si dorme la notte, e la mattina si parte». Il mondo si agitava intorno a lui, ma non gli entrava in cuore; egli non discendeva a contatto con lui, se non quando era necessario pel bene dei prossimi: era come gli Angeli che vivono in Cielo anche quando sono mandati a soccorrere gli uomini.
Quest’è proprio dell’uomo perfetto: mai distogliere lo spirito dalle cose celesti e in mezzo a molte cure passar quasi senza cura; non già per pigrizia d’un animo intorpidito, ma per una certa prerogativa di mente sciolta da ogni affetto terreno: hoc opus est perfecti viri…inter multas curas quasi sine cura transire… (Kemp. III,26). Ma perché mai scarseggiano tanto queste anime libere e illuminate, che vivendo in terra, conversano in Cielo? perché son pochi quelli che arrivano a una perfetta abnegazione: ideo tam pauci illuminati et liberi intus efficiuntur quia seipsos ex toto abnegare nesciunt (Id. IV,8). Quest’è il compendio, questa la radice d’ogni virtù, il rinnegare sé stessi e annichilirsi in tutto (E. Giov. d. Cr. – Not. osc. II,7).

COLLOQUIO — Mio Dio e mio tutto: Deus meus et omnia!… Oh, che dolce parola non è mai questa, o mio Signore! Dolce però a chi ama voi e non il mondo: solo a questi siete dolce o Signore; questi soli san riferire a voi tutto ciò che di bene trovano nel mondo. O luce sempiterna, luce che trascende ogni luce creata, saettate nel mio cuore un vostro raggio, che purifichi, e sollevi, e ravvivi lo spirito mio. Oh, quando verrà quell’ora beata in cui mi sazierete della vostra presenza e sarete per me il tutto in ogni cosa? Poiché fino a tanto che ciò non s’avveri, io non potrò esser felice appieno. Ancora, oh dolore! Ancora vive in me il vecchio uomo: non è tutto crocifisso, non è morto perfettamente. Ancora combatte contro lo spirito e turba la pace del regno interiore. Ma voi che sapete dominar il mare, e sedarne i flutti, alzatevi, o Signore, e soccorretemi: mostrate in me la vostra grandezza, perché non c’è speranza né rifugio per me, se non in voi, o Signore Iddio mio. (Kemp. III,34).

 

p. Alghisio dal Bon M.I., il mese di luglio consacrato alla meditazione della vita ed esempi di S. Camillo de Lellis nel 350.mo anniversario della sua morte, Ed. Il Pio Samaritano, Verona,1964, pp.23-44