San Camillo: profilo biografico e novità antropologica apportata. Il coraggio di osare!

Le tre tappe essenziali di un cammino:servente, convertito, la maturità di un sogno

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Monumento all’ingresso dell’Ospedale IRCCS S. Camillo di Venezia

Servente: nel 1571 Camillo entra al S. Giacomo, poco più che ventenne, come ammalato. Era febbricitante e con una brutta piaga al collo del piede destro. Questa piaga aveva bruscamente interrotto la sua carriera di soldato, quindi entrato in ospedale aveva pertanto una sola aspirazione: guarire presto e tornare alla vita militare. Ma, guarito dalla febbre e, almeno per il momento, anche dalla piaga, gli venne offerta dall’amministrazione dell’ospedale, l’opportunità di essere assunto come servente di corsia, cioè come infermiere generico, per uno scudo al mese. Sembrava aver trovato finalmente un lavoro sicuro e decoroso ed una sua interiore tranquillità. Ma Camillo come infermiere fu un disastro. Alla fine dell’anno fu licenziato, «il che non avvenne per altro se non perché esso Camillo era di molto terribile cervello, facendo sovente questione hor con uno, et hor con un altro servente dell’hospitale. Et anco per esser lui così al giuoco delle carte inclinato, che spesso lasciando il servigio dell’Infermi se ne andava sopra la riva del Tevere a giuocare con i barcaroli di Ripetta».

Convertito: ritorna una seconda volta all’ospedale di S. Giacomo nel 1575, dopo una travolgente esperienza religiosa, una conversione (2 febbraio 1575, festa della Purificazione di Maria: si percuote il petto con una pietra chiedendo perdono a Dio per la vita passata e facendo proposito di vera penitenza «non più mondo, non più mondo, …»: «Forse il Signore andava già preparando da tempo quell’anima ribelle ma fondamentalmente retta; tuttavia le circostanze e le conseguenze di questo ritorno alla grazia sono così sorprendenti che lo stesso biografo suo coevo non esita a paragonarla alla conversione di Saulo sulla via di Damasco»), che l’ha profondamente trasformato e portato a cercare un porto sicuro, dopo tante vicende burrascose, nel noviziato dei padri Cappuccini.È quindi un convertito che lascia temporaneamente la pace del convento, dove si è chiuso per far penitenza dei suoi peccati, per curarsi ancora la piaga riaperta «per il continuo toccamento dell’habito sopra il collo del piede della gamba destra». «Nel qual hospidale con altra edificazione che non aveva dato la prima volta, mutato affatto in altro huomo, circa quattr’anni perseverò, salendo di grado in grado per tutti gli uffici di quel luogo». Divenne quindi Maestro di Casa, ufficio prestigioso, con il compito di presiedere, «con carità paterna» e di ben governare l’intera famiglia dell’ospedale. Vi rimase quattro anni; ma anche questa lunga permanenza al S. Giacomo aveva per Camillo, nonostante le apparenze, il carattere della provvisorietà. Pur servendo con impegno e amore i malati, il suo centro d’interesse non era l’ospedale, ma il noviziato dei Cappuccini. Il suo servizio agli infermi, edificante e generoso sotto ogni aspetto, era per lui solo un prolungamento della formazione alla vita religiosa. Riviveva al S. Giacomo, in certo modo, l’epopea dei primi compagni di S. Francesco che, come affermava Tommaso da Celano, «di giorno quelli che n’eran capaci si dedicavano ai lavori manuali, o si fermavano nelle case dei lebbrosi, servendo tutti con umiltà e devozione». Ma il suo desiderio era sempre di ritornare alla pace della fraternità francescana. Vi ritornò infatti nel 1579.

La maturità della vocazione e la concretezza del sogno: ma nello stesso anno, dopo soli quattro mesi, è costretto a varcare per la terza volta il portone del S. Giacomo. La piaga del piede, al contatto con il ruvido saio di frate, si è riaperta. Questa volta l’uscita dal convento è definitiva. Aveva ormai ventinove anni. Ci spetteremmo di trovarci di fronte ad uno sbandato. Ci troviamo, invece, davanti ad un uomo profondamente maturato in questo susseguirsi di avvenimenti. La sofferenza fisica e psichica, le lunghe ore di preghiera, l’esperienza positiva del servizio ai malati prestato nella sua seconda permanenza al S. Giacomo ne hanno fatto un uomo deciso che vede sempre più chiaramente delinearsi il progetto di Dio sulla sua vita, la sua vocazione, la sua missione. Lui stesso esprimerà con grande umiltà, ma nello stesso tempo con estrema lucidità, i sentimenti che tumultuavano nel suo animo nel calcare di nuovo, col passo ridiventato claudicante, il lastricato dell’ospedale. «Già che Iddio non m’ha voluto Cappuccino ne in quello stato di penitenza, dove tanto desideravo di stare e morire, è segno che mi vuole qui nel servigio di questi poveri infermi». È questa certezza e la terminazione che metterà poi nel compito che si sente affidato che faranno di lui un eccezionale protagonista nel mondo sanitario.